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Il genio dell’inerzia

Il genio dell’inerzia.

a.
“E niente” non vuol dire niente. Prima spiegami cos’è il niente. Poi ne discutiamo.
Ma A. non vuole discuterne, questa è la verità.

b.
C’è un aforisma nascosto dietro gli scaffali della libreria, le dico. Aspetto che venga fuori, poi lo schiaccio.

c.
Il cucchiaino è appena affondato nel caffellatte. E m’imbestialisco al ricordo della neve che copriva l’ultimo sogno sognato.
Basta, le dico. Io esco, vado a fare una passeggiata.

d.
La sai una cosa?
No.
Ecco. La sai una cosa? Io ammazzo zanzare, le dico.
A. mi guarda e dice: Ogni cosa è sacra.
Sì, ma io continuo ad ammazzare zanzare, le dico.

e.
Un minuto di silenzio per quelli che scrivono “un minuto di silenzio per”, lei mi dice.
Ci sto, le dico, va bene.

f.
Sai, stavo per scrivere una cosa seria, le dico. Poi m’è venuto in mente che è dai tempi del liceo che non scrivo cose serie. E allora ho lasciato stare.

g.
“Si sta alzando il vento. Altro non so. E nient’altro mi interessa sapere. La sabbia disse”.
A. mi guarda storto. La sabbia non dice, mi dice.
Magari dice senza dire, le dico io.
Non dire cagate, mi dice lei.

h.
Acca?
Acca.
Non so perché ma lei di nuovo mi guarda storto.

i.
Dormo, mi dice A.
Così pare, le dico.
Come se fosse una realtà, dice lei.
Mi giro e la osservo oltre l’immagine di un enorme divano sfatto.
Se fosse una realtà, sarebbe una realtà parziale e indisponibile, le dico.

l.
Tu racconti bugie, mi dice A.
Chi te lo dice?
Me lo dicono le tue parole.
Le parole sono trappole, le dico. Tu devi leggere gli spazi e la punteggiatura, soprattutto.
No. Tu continui a raccontarmi bugie, mi dice lei. Le tue cattive maniere mi danneggiano.

m.
Emme?
Emme.
Però almeno non mi guarda più storto, da quando le ho detto che sono un uomo spietato.

n.
Questa mattina mi sono alzato, ho guardato A. che dormiva. Ho pensato che va bene così. Fintanto che non saprò le altre lettere del suo nome.

o.
Potrei sparire da un momento all’altro, restare intrappolato in una ragnatela spazio-temporale, le dico.
A. ride.
Perché ridi, le chiedo.
Perché sei stupido, mi dice lei. E continua a ridere.
Beh, le dico, a ciascuno la sua specialità.

p.
Non ci giurerei ma intravedo una traccia di antipatia, nel suo strizzare gli occhi quando mi urla Stronzo. ufoufo

 

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