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La Ziggurat sull’Imperiale

La Ziggurat sull’Imperiale.

L’altra sera con alcuni colleghi in redazione si parlava delle vacanze estive di una volta, di quand’eravamo piccoli, di quelle vacanze che più che una vacanza sembrava un trasloco in piena regola, con la macchina stracarica, stipati in cinque, forse anche in sei, cibarie e vestiti che sarebbero bastati per mesi, e il resto della mercanzia che svettava sull’imperiale come una ziggurat. Che poi, giusto per divagare, non ho mai capito perché si chiamasse imperiale, il portabagagli di ferro sulla capotta delle automobili.

A ogni modo, se ne parlava perché a Giuseppe è piaciuto un editoriale dei lettori, su La Stampa, firmato da un educatore di quarantanove anni, Francesco Cerrato:  “La crisi non può rubarci i sogni“.
“Gli esodi di una volta sono alla portata di tutte le tasche – scrive Cerrato – a soldi stiamo infinitamente meglio oggi. A fantasia, tenacia, volontà, inventiva, ottimismo no”.
E in effetti è un articolo che fa pensare.
A me ha fatto venire in mente le vacanze che trascorrevo con i miei nonni.

I miei nonni mi portavano in Toscana, d’estate, quand’ero piccolo. Non sempre. Non tutte le estati. Si faceva a turno. A turno i miei nonni portavano me, i miei fratelli, o i miei cugini. Anche se alcuni dei miei cugini non sono mai andati in Toscana con i miei nonni. Così mi hanno detto loro, i miei cugini, quelli che non sono mai stati in Toscana con i miei nonni. Vai a sapere perché i miei nonni non ce li hanno mai portati, in Toscana. Son quelle cose che non c’è un motivo vero e proprio. E se pure ci fosse, ormai è passato tanto di quel tempo. Che senso avrebbe.

Io me lo ricordo come un viaggio infinito, il viaggio verso la Toscana. Era un viaggio che iniziava da Cagliari la mattina molto presto, il giorno della partenza. Anzi, era un viaggio che iniziava parecchi giorni prima del giorno della partenza. E i preparativi erano lunghi, sempre molto intensi, in qualche modo stimolanti. Il giorno della partenza sembrava non arrivare mai.

I miei nonni mi portavano in Toscana, d’estate, quand’ero piccolo, perché in Toscana c’erano i parenti di mio nonno, Giovannino, che non è proprio mio nonno, nel senso che il padre di mio padre è un altro, Luigi, ma lui, il mio vero nonno, è morto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, e io non l’ho mai conosciuto, e il nonno che ho sempre conosciuto, invece, è Giovannino, il secondo marito di mia nonna, che si chiamava Nina. E insomma, io quand’ero piccolo queste cose non è che le sapessi nei dettagli, o se le sapevo non è che ci badassi più di tanto, perché intanto, per me, mio nonno, il mio nonno vero, era lui, quello che insieme a mia nonna mi portava in vacanza in Toscana, dai suoi parenti, che alla fine, in un certo senso, erano anche parenti miei.

Il viaggio per arrivare in Toscana era lunghissimo. Poteva durare giorni interi. Intanto c’era da arrivare al porto di Golfo Aranci. E non era mica dietro l’angolo, il porto di Golfo Aranci, per noi che venivamo da Cagliari. La strada statale Carlo Felice incrociava decine e decine di paesi, piccoli o grandi che fossero. Li attraversava proprio, non c’era scampo, non c’era alternativa. E un paese sì, un paese no, ci si fermava per salutare qualcuno, un amico, un conoscente, un lontano parente. Anche in questo caso, non c’era scampo, non c’era alternativa alle soste. Mia nonna, che aveva fatto l’ostetrica un po’ ovunque, conosceva un numero spropositato di persone, o perlomeno così pareva.

Esaurite le soste, si arrivava a tarda sera a Golfo Aranci, e si attendeva in banchina l’imbarco nel piroscafo delle Ferrovie dello Stato, destinazione Civitavecchia. Non ho mai dimenticato il mio primo imbarco. Il grande portellone della nave, l’auto fagocitata dal buio, le urla degli addetti alle manovre, il rumore di ferraglia, il frastuono dei motori, e poi l’odore intenso, salmastro, di olio e di metallo.

Era lunghissimo, il viaggio per arrivare in Toscana. A bordo del piroscafo, però, non me ne rendevo conto. Non pensavo in termini di distanze. Pensavo in termini di tempo. Come credo accada di pensare a tutti i bambini quando sono in viaggio. Forse perché i bambini hanno più immaginazione, viaggiano a prescindere dal fatto che siano in viaggio, chissà.

La Toscana, tuttavia, per me rappresentava un luogo più affascinante di qualsiasi altro luogo immaginario. La Toscana significava vacanza vera. E vita di campagna, ché a Nozzano, a due passi da Lucca, il paese di mio nonno, di campagna ce n’era in abbondanza. Boschi e colline, distese verdi, filari di vigneti che si perdevano all’orizzonte. I parenti di mio nonno avevano una fattoria. Ed è lì che mi hanno insegnato a fare cose che, da bambino di città, non avrei potuto imparare altrove, come tirare il collo alle galline, dar da mangiare ai conigli e alle oche, raccogliere l’uva, grattare via i chicchi di mais dalle pannocchie senza rovinarsi le mani, mungere le vacche la mattina e assaporare il latte caldo, con quelle grandi macchie di grasso giallastro che galleggiavano minacciose sulla superficie bianca del latte appena munto.

Era lunghissimo il viaggio per arrivare in Toscana. Quasi più lungo della stessa vacanza, anche se la vacanza in realtà durava più di un mese e ci si muoveva spesso, mica si stava fermi, con una come mia nonna, poi, era difficile star fermi in un posto solo. Si montava in auto e si viaggiava su e giù per il nord est, per andare a trovare altri amici, altri parenti, altri conoscenti, a Pisa, Bologna, Firenze, Treviso, Venezia e sa il cielo quanti altri paesi e città e persone “bisognava” andare a visitare, ché l’accoglienza alla fine era sempre la stessa, commovente, dolce e festosa: è arrivata Nina dalla Sardegna, è arrivata Nina dalla Sardegna!

 

 

18 Comments

  • Luciana

    16 Agosto 2012 at 20:50

    Ricordo le imperiali di quegli anni, cariche da sfidare la legge di gravità, con i bagagli legati con quei tiranti elastici con i ganci… che se te ne sfuggiva uno era pericoloso…
    Anche io andavo in Toscana, quasi tutte le estati… ma viaggiavo in aereo, e andavo da amici, in attesa della visita di controllo del luminare… mi sa che le mie estati toscane erano meno epiche delle tue!

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    • Gianni

      16 Agosto 2012 at 21:10

      Vorrei sapere perché si chiama(va) “imperiale”. Non ti sembra un termine un po’ troppo pomposo per un portabagagli sulla capotta? 🙂
      I viaggi sono (quasi) tutti epici. A ricordarli a distanza di decenni, poi, ancora di più.
      Star fuori da casa un mese era bello, sì, ma quanta nostalgia, a quell’età. E voglia di tornare dai genitori.
      Un abbraccio.
      G.

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    • Gianni

      17 Agosto 2012 at 08:57

      Grazie Simonetta!
      🙂 ecco dunque perché! Direttamente dai treni, ma pensa tu.
      Grazie ancora per le parole belle e per la stima.
      Un abbraccio grande.
      G.

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  • antonio

    16 Agosto 2012 at 22:24

    Forse si chiamava impaeriale perchè diventava la parte più alta della macchina.. bho!!
    Ho bene in mente il nostro traslocco verso il mare, verso il mare di Villa d’Orri,a cinque chilometri dal mio paese. Ci si accampava lì.Il viaggio era interminabile,quando passavamo nella via principale del paese tutti ci guardavano. I miei dentro la cabina dell’Ape125, noi (10figli) e tutto il vettovagliamento per il “campeggio” (anni 60) nel cassone… insomma una bella avventura a low cost, ma fantastica….

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    • Gianni

      17 Agosto 2012 at 09:00

      Antonio, vorrei che tu mi dicessi che hai foto di quel periodo, anche una, una sola.
      🙂
      Però Villa d’Orri doveva essere un bel mare, in quegli anni.
      La Saras già c’era?
      Un abbraccio.
      G.

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  • Luciana

    17 Agosto 2012 at 06:58

    Non lo so mica perchè si chiamava Imperiale… ma ne ho ancora una, quella della Cinquecento L di mia mamma, appesa in un magazzino… forse perchè davvero troneggiava su quelle mitiche automobili del boom economico… invece adesso che siamo allo… sboom van di moda le bare sopra le auto? e non sono nemmeno porta-sci!

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  • umberto pardi

    23 Agosto 2012 at 11:51

    : ))) Fantastico : ))) Solo ora l’ho letto…non sapevo che parlava dei mitici viaggi in ferie a Nozzano San Pietro hahah Io di quei tempi ricordo ..le uova fresche che Zia Nina vi faceva bere di mattina ( e che a me facevano schifo ) i viaggi a Viareggio o a Lucca in cui sono venuto anche io…ricordo i vetri chiusi stoppinati dei finestrini della macchina in piena estate ( Zia Nina soffriva di senusite cronica e gli dava noia anche l’aria e il vento )…Ho sempre avuto un sentimento di amore e … un po’ di sopportazione nei confronti di Zia Nina…Per noi piccoli che adoravamo nostra nonna angelina e mia madre..sapere e vedere che i rapporti tra loro e zia Nina non erano proprio idilliaci non ce la faceva vedere simpatica… ma li sbagliava anche nostro padre Romano..c’era una sorta di riverenza assurda quando venivate e noi lo sopportavamo poco…ma si era piccoli…Poi c’era Zia che parlava sempre di voi e dei vostri genitori in termini entusiastici… Tutte persone che avevano studiato..intelligenti..con dei buoni lavori ..e noi eravamo i figli dei parenti contadini ahhahah a pensarci ora..passati quasi 40 anni … la cosa mi fa’ sorridere e emozionare : )))) La zia amava mangiare le lumache e gli uccellini : ))) Di voi ricordo Bobo , te e Joel : ))) Grazie Gianni..mi hai fatto tornare bambino con poche righe : )) Un abbraccio Umbe.

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  • Pier Luigi Zanata

    27 Agosto 2012 at 12:04

    Se per te era un’ avventura, pensa quando io bambino, più di 60 anni fa, il viaggio veniva fatto in treno e nave: mi sembrava di andare in un altro continente.
    Partenza la mattina presto dalla Stazione FS di piazza Matteotti e destinazione Olbia Isola Bianca dove era ormeggiato il piroscafo. Non i moderni traghetti di oggi. Una nave solo passeggeri. Poche auto. Venivano imbragate, sollevate con una gru e poste su una parte del ponte.
    Il viaggio in treno, la motrice una vaporiera, che sbuffava e ansimava su ogni salita, si snodava per tutta la lunghezza dell’ Isola. Durava dieci o dodici ore. Mamma, tua nonna Nina, snocciolava i nomi dei paesi attraversati. Per ognuno un ricordo. I ricordi più intensi quelli su Ghilarza, sede delle sua prima condotta, una novantina d’ anni fa, Paulilatino e Olbia, dove aveva vissuto un paio d’ anni con Luigi, babbo mai conosciuto, morto in guerra quando ero piccolo. Per questo come tu hai considerato Giovannino come tuo nonno io l’ ho visto sempre come il babbo(la foto pubblicata è quella del giorno del loro matrimonio).
    La traversata durava sedici o diciotto ore. Sbarcati a Civitavecchia si prendeva la carrozza a cavalli, taxi non esistano, e si andava alla Stazione. Poi altro viaggio in treno: Civitavecchia-Pisa e Pisa Lucca. Infine la corriera per arrivare a Nozzano, che dista tre chilometri da Lucca.
    Vacanze meravigliose. E’ vero tua nonna, mia madre, era in perenne movimento. Un giorno Viareggio, un altro Lucca, un altro ancora Pisa, poi Firenze, Bologna, Venezia…sempre in treno o in corriera. E’ vero avevamo parenti e amici ovunque.
    Credo che mia madre e tua nonna ci abbiano insegnato ad essere curiosi e avidi di conoscere.
    Nei prossimi giorni andrò a Lucca a trovare il babbo, il tuo nonno: gli farò leggere, sempre che non l’ abbia già fatto Umberto, il tuo bellissimo ricordo. A presto. Un abbraccio

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  • Maurizio

    22 Gennaio 2014 at 15:32

    Mi hai fatto ricordare il piccolo “grande trek” familiare del 1971 che ci vide, babbo, mamma, me e mio fratello, percorrere la vecchia (vecchissima) 125, dal Sarrabus a Tempio, su una minuscola Prinz bicilindrica dotata di enorme imperiale.

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    • Gianni

      23 Gennaio 2014 at 10:50

      Grazie a te Maurizio 🙂
      Deve essere stato un gran bel viaggio anche il tuo, denso di sapori, profumi e sensazioni. La vecchia statale 125, altro che Rally!
      🙂 abbraccio buonagiornata

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