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Un ombrellone in Corea

Un ombrellone in Corea.

Questo sito non va in ferie. Per la precisione, non è mai andato in ferie. Se mai ci è andato, non si è mai saputo. Nessuno glielo ha chiesto, comunque. Questo sito non andrà in ferie nemmeno a settembre. Forse nemmeno a ottobre. A novembre non si sa. Se mai ci andrà, non è detto che si saprà. Nessuno glielo chiederà, si suppone. E se pure qualcuno glielo dovesse chiedere, non è detto che ciò comporti una risposta automatica, o una risposta purchessia.

Mi piace il termine purchessia.

[da treccani.it: purchessìa (non com. pur che sia) agg., invar. – Qualsiasi, di qualunque genere (sempre unito a sost. sing. e posposto ad esso): mi contento di un impieguccio purchessiaho bisogno di trovare casae mi va bene una zona purchessia. È usata talora anche la forma rafforzata purchessìasi (cioè pur che si sia); raro e pedantesco con riferimento al passato, purcheffósse (o pur che fosse): non volle neppure erigergli un mezzo busto pur che fosse (Pirandello)]

Purchessia sa di lurido, di sozzo e sudicio. Purchessiasi potrebbe essere una malattia della pelle. Purcheffosse sarebbe il nome perfetto per un personaggio di opere liriche.

E insomma.
Mi comprerò un ombrellone ma non andrò in ferie. Una mattina di queste me ne andrò in spiaggia e pianterò l’ombrellone, proprio come fecero Neil Armstrong e Edwin Aldrin piantando la bandiera degli Stati Uniti sul suolo lunare, nel 1969, durante la missione Apollo 11. Quel giorno il mondo intero festeggiò il primo uomo sulla luna. Forse non il mondo intero. I sovietici non festeggiarono, per dire. E secondo me non festeggiarono neanche i parenti dei soldati coreani uccisi nella guerra di Corea. Edwin Aldrin c’era stato, in Corea, e aveva preso parte a 66 missioni di combattimento. Fossi stato in loro, nei parenti dei soldati uccisi, quel giorno dello sbarco sulla luna, non me ne sarebbe importato nulla, né dell’Apollo né di Edwin Aldrin. Forse sarei andato in spiaggia e avrei piantato un ombrellone. Era il 21 luglio. Credo che a luglio si vada al mare anche in Corea. Ci sono belle spiagge, l’ho letto da qualche parte. 

Questo sito, dunque, non solo non va in ferie ma pensa sia opportuno ricordare ciò che disse una volta George Harrison a proposito della morte.

“Quando muori avrai bisogno di una guida spirituale e di una conoscenza interiore che vada oltre i confini del mondo fisico. Con queste premesse direi che non ha molta importanza se sei il Re di un paese, il sultano del Brunei o uno dei favolosi Beatles; conta quello che hai dentro. Alcune delle migliori canzoni che conosco sono quelle che non ho scritto ancora, e non ha neppure importanza se non le scriverò mai perché sono un niente se paragonate al grande quadro” [pagina 355, The Beatles Anthology, Rizzoli, Milano, 2010].

 

George Harrison, 1974

 

nella foto, George Harrison

 

 

 

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