Allunghismo

Allunghismo.

Ieri a Marceddì, al festival letterario “Spirito di mare”, c’erano Paolo Nori e Paolo Albani che discutevano di mattoidi. “I mattoidi italiani” [Quodlibet, 2012] è il titolo di un libro scritto da Paolo Albani, un repertorio di personaggi esistiti o esistenti fautori di teorie strampalate elaborate in vari campi del sapere. Uno di questi è Carlo Cetti, ideatore di una teoria, il brevismo, esposta ne “La lingua si perfeziona e progredisce tendendo a brevità (Teoria del brevismo)”, del 1946, che “individua nella brevità del linguaggio un mezzo per la perfezione dello stile”. Nel libro Cetti sostiene che “la prima cosa cui, parlando o scrivendo, si deve badare, è la parsimonia sillabica, e che quindi alle parole o locuzioni lunghe si devono sempre preferire le brevi”. Ed elenca cinque norme per la sua teoria. 1) Non usare la doppia consonante, dove basti la semplice, come ad esempio in imagine, patriota, sodisfare; 2) Omettere la i, la u o altra vocale in parole come ceco, sufficente, gioco, ecc. 3) Usare senza prefisso parole che di solito lo conservano come bruciare per «abbruciare», malare per «ammalare»; 4) liberare del prefisso le parole che lo tengono incollato a sé dicendo lontanare per «allontanare», ricchire per «arricchire», bandonare per «abbandonare», e cercare altre semplificazioni di parole come ad esempio quella di sututto per «soprattutto», nostante per «nonostante»; 5) valersi il più possibile dell’apostrofo e dei troncamenti per risparmiare sillabe e quindi migliorare lo stile [da “I mattoidi italiani”, di Paolo Albani, Quodlibet, 2012].
La teoria del brevismo è agli antipodi della teoria dell’allunghismo, una teoria elaborata da me questa mattina mentre pensavo a Carlo Cetti, che, tra l’altro, utilizzando le norme del brevismo aveva anche riscritto “I Promessi Sposi”. La teoria dell’allunghismo, ancora in gestazione, se ne frega del perfezionamento della lingua e dello stile. Attraverso l’allunghismo, infatti, si intende promuovere una filosofia del linguaggio che travalichi il concetto stesso di comunicazione. L’austerità e la politica del rigore linguistico hanno prodotto un fenomeno preoccupante di recessione lessicologica e grammaticale: occorre un cambiamento. Perciò
1) sì all’uso di doppie consonanti, per esempio: libbertà, scalldabbagno, depputtatto, fillossoffia, gommiti, canzzonni, piedde, ecc.
2) sì all’uso di vocali, anche un po’ a casaccio: coniugie, piangiere, bilancie, puleggie, calicie, gienerali, Gienova, acciendino, carciere, ecc.
3) usare prefissi ovunque sia possibile: accondurre per«condurre», appensare per«pensare», arrompere per«rompere», assalutare per«salutare», ecc.
4) là dove è possibile, complicare e sostituire le parole facili, per esempio: animalecheabbaia al posto di«cane», arrotolaspaghetti al posto di«forchetta», sottilemapungente al posto di «ago», paginechesipossonosfogliare al posto di«libro», secondiminutiorechepassano al posto di «tempo», ecc.
5) al bando apocopi, apostrofi, troncamenti ed elisioni, ecc. L’uso della D eufonica è finalmente liberalizzato.

Arturo mi ha scritto un sms.
“Ilgiornocheviviamoadesso il mio animalecheabbaia ha sporcatto di materialeescrementizio il rettangoloditessutosulpavimento. Lo ho accacciato via con un tonodivocesuperiore, l’animalecheabbaia. Gli devo perinsegnare l’educazzione. Od è sciemo od è maledducatto. Oppure mi ha voluto fare un azionechehailsoloscopodifareindispettirequalcuno”.

ps – Intanto, Maurizio Faa su Twitter suggerisce integrazioni alla Teoria.
6) ove possibile, utilizzare intercalari tipo«cioè, boh»,«arroddugò» e “aggiungendone” la particella«ne» a tutto spiano.

pps – Intanto, Simona dice: bella la teoria dell’allunghismo ma proporrei di chiamarla allunghinismo per coerenza. E ti dirò che hai ragione, per coerenza.

 

 

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