Carteggi (14)

Carteggi (14).

Aprile (o è già maggio?).
Caseggiato G, braccio cinque, corridoio ventuno, ala detenuti molto pericolosi, carcere di San Pedro Sula, Honduras.
Piove ed è pomeriggio.

Ciao,
sì, sono proprio io. E no, non è uno scherzo. E, soprattutto, sappi che non sono morto. Sono vivo. Non esageratamente vivo ma abbastanza per farti sapere che lo sono. Ripeto: non è uno scherzo. E comunque, il fatto che tu ci creda o no, che non si tratta di uno scherzo, ha un’importanza relativa. Ciò che conta è ben altro.
Potrei raccontarti per filo e per segno che cos’è successo dall’ultima volta che hai avuto mie notizie. Anzi, più che potrei, diciamo che dovrei. Eppure ti assicuro che in questo momento, nella situazione in cui mi trovo, in qualità di ospite (a dire il vero non troppo gradito) del sistema penitenziario honduregno, alle prese con una fastidiosa e inopportuna forma di febbre malarica che di tanto in tanto mi assale squassandomi dalla testa ai piedi, tristemente privato di ogni genere di libertà se non quella di scambiare quattro chiacchiere con uno scarafaggio timido e insicuro, inutilmente e affannosamente occupato a dimostrare la mia assoluta innocenza in merito alle accuse che mi vengono rivolte dalle autorità locali (tutti reati da serie A: omicidio, banda armata, sequestro di persona, rapina, traffico d’armi e di droga) in questo momento, sebbene a mancarmi non siano né il tempo né le occasioni per scrivere, sebbene non scarseggino né la voglia né il desiderio di spiegare, chiarire, precisare, chiosare, glossare o commentare, ecco, sebbene tutto, sebbene niente, ti assicuro che in questo momento non ci riesco, a farti un riassunto di com’è andata.
Perciò, non chiedermelo. Di farti il riassunto, voglio dire.
Grazie. E scusa.
Scusa se forse non avevi alcuna intenzione di chiedermelo. Di farti il riassunto, intendo. E scusa se ho pensato che magari avresti potuto chiedermelo, ma poi hai cambiato idea e non me l’hai chiesto. 
E non sbuffare, ché tanto è come se ti vedessi.
Ora, io spero che tu ti sia fatta una domanda, e spero che sia la stessa in base alla quale, un’ora sì e un’ora no, mi affatico a fantasticare le risposte più disparate. La domanda è: che cazzo ci faccio, io, qui, nella prigione della seconda città più importante dell’Honduras?
Prima di rispondere, ti consiglio di procurarti una grande e dettagliata carta geografica, un mappamondo, un planisfero, un astrolabio, quello che vuoi, e di cercare San Pedro Sula, Honduras.
Fatto? Bene. Adesso prova a immaginare un posto gonfio di benessere, gioia ed entusiasmo. Fatto? Bene. Adesso, invece, prova a immaginare esattamente il contrario di un posto gonfio di benessere, gioia ed entusiasmo. Fatto? Bene. Questo è San Pedro Sula. Dove esiste un carcere di massima sicurezza. Cioè, il posto dove attualmente mi trovo. Come, quando e perché sia finito qua dentro, be’, è una storia un po’ lunga.
E, quindi, ho come l’impressione che sarò costretto a fartelo, questo cazzo di riassunto.
Non oggi, però. La prossima volta. Purtroppo ho finito la carta.
Stammi bene. Ciao.

P.s.
Come stai?







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