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Cose che ho pensato (trentatré)

Cose che ho pensato (trentatré).

186.
Una volta ho pensato che l’influenza è una di quelle cose che a me, quando qualcuno me la contagia, mi girano talmente i coglioni che la prima cosa che mi viene da fare è prendere a cazzotti i muri, se non fosse che sto male e che mi girano i coglioni, ma non per scherzo, proprio da dare fuori di matto, che quando ho l’influenza non ho neanche la forza di alzarmi dal letto e di andare a pisciare, altro che prendere a cazzotti i muri.

187.
Una volta ho pensato di correre dietro ai sogni. Mi sembrava una cosa stupida, così l’ho fatto.

188.
Una volta ho pensato che non era giusto che Arturo non si ammalasse mai, non si prendesse mai un’influenza o un semplice raffreddore. Un giorno mi aveva detto che lui non si era preso nemmeno il morbillo. Che io allora avevo chiamato un mio amico medico e gli avevo chiesto se era possibile che un bambino vissuto negli anni sessanta non si fosse ammalato di morbillo. E il mio amico medico mi aveva detto che era una cosa possibile, rara ma possibile. Da quel giorno lì avevo iniziato a guardarlo con sospetto, Arturo. Con sospetto e anche con una certa ammirazione, tuttavia. Finché una settimana dopo non si era buscato la scarlattina.

189.
Una volta ho pensato di smettere di correre dietro ai sogni. Andavano troppo veloci. Non ne valeva la pena.

190.
Una volta ho pensato di raccontare la storia di quel tale che aveva iniziato la sua carriera di imprenditore negli anni cinquanta fondando alcune scuole private. La più famosa era intitolata a un giornalista e scrittore. Vi si iscrivevano gli studenti che alla scuola pubblica venivano bocciati anche due o tre anni di fila. L’imprenditore sosteneva di essere un ottimo educatore e girava per la scuola con una pompa in mano. A volte tirava certe frustate agli studenti.

sedia

nella foto, regginatiche

 

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