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Cose che ho pensato (ventotto)

Cose che ho pensato (ventotto).

156.
Una volta ho pensato di essere una casa disabitata. Il proprietario aveva pubblicato un annuncio sul giornale e mi aveva messo in vendita. Una mattina si erano presentati un uomo e una donna, dicevano di essersi appena sposati. Avevano fatto un giro, controllato le stanze, il bagno, la cucina. Lui non aveva fiatato. Lei continuava a ripetergli sottovoce “Tesoro, questa casa non mi piace, andiamo via”. E così se n’erano andati via, non se n’era fatto niente. Poi era stata la volta di un impiegato di banca. E di una famiglia di Pimentel. E di un allenatore di pallacanestro. E di un ferroviere in pensione. E di un fotografo naturalista. E di una arredatrice d’interni. E di una maestra d’asilo. E di un trafficante d’organi. E di un allevatore di api. E di una coppia omosessuale. E di un vedovo inconsolabile. E di una mamma di sette figli. E di un pescatore di trote. E di un prefetto di ferro. E di una consulente aziendale. Ma niente: tutti si presentavano, guardavano e poi andavano via delusi. “No, grazie, non ci piace”, dicevano.

157.
Una volta ho pensato di prendere la rincorsa e di saltare di palo in frasca. Poi però sono inciampato e mi sono anche slogato una caviglia.

158.
Una volta ho pensato di essere un libro nella libreria di Francesco Abate. Non me la passavo male, di tanto in tanto lui mi sfogliava e stavo bene insieme a tutti gli altri libri. Poi però una mattina mi ha preso e mi ha regalato a un tale che aspettava il PQ in piazza Repubblica.

159.
Una volta ho pensato di essere Cagliari. Era faticoso.

160.
Una volta ho pensato di camminare su una fune sospesa tra la Torre di San Pancrazio e la Torre dell’Elefante.

161.
Una volta ho pensato che ci vuole pazienza.

162.
Una volta ho pensato di essere una buona notizia. Mi avevano pubblicato a pagina 44, dopo i necrologi. Arturo aveva strappato i fogli del giornale e li aveva usati per avvolgerci un mazzo di sedano.

163.
Una volta ho pensato che la pazienza da sola non basta.

164.
Una volta ho pensato di essere il fratello di Yves Montand. L’avevo detto all’edicolante che non sapeva nemmeno chi fosse Yves Montand. “A me questi artisti francesi mi stanno un po’ sui coglioni”, aveva detto.

165.
Una volta ho pensato di vivere sul ramo di un melo.

 

geometrie librarie

 

 

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