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“È la stampa, bellezza. La stampa!”

“È la stampa, bellezza. La stampa!”

Ieri era la Giornata Europea Stand-Up For Journalism, e il sito di informazione quotidiana CagliariPad – che ha inaugurato il suo nuovo portale – ha voluto ospitare una serie di interventi e di opinioni sul tema dell’informazione, un dibattito a più voci sul giornalismo, soprattutto sul giornalismo in Sardegna.

Molto volentieri ho accolto l’invito a soffermarmi su alcuni aspetti che riguardano il mondo dell’informazione, in particolare sulla crisi del settore televisivo in Sardegna.
Il testo del mio intervento è anche qui, su questa pagina, qualche riga più avanti.

Ma, al di là della mia opinione, mi permetto di consigliare la lettura di tutti gli altri interventi sul sito CagliariPad

E ancora i commenti (più o meno recenti) pubblicati sui siti di

Vito Biolchini

Sardinia Post

Gianluca Floris

Non mi ricordo

E-City-Zens

 

Auguri al giornalismo (o a quel che è rimasto).

Ci sono colleghi, sindacalisti, esperti, addetti ai lavori, che ogni tanto ne sparano davvero di grosse, quando si mettono a parlare di giornalismo. E quando leggo o sento dire che tutto sommato la Sardegna dell’informazione è un’isola felice, un po’ mi girano. Anzi, non un po’, mi girano parecchio. Intendiamoci, è un periodo di giramenti facili, questo. Ma credo che certe cose non bisognerebbe scriverle, neanche dirle. Ché di felicità, tra i giornalisti sardi, non ne vedo proprio. Non tra i giornalisti che conosco e che frequento, per lo meno.

La maggior parte dei giornalisti che conosco e frequento è precaria, sottopagata, ricattata, scoraggiata. Ma lavora. Un’altra parte ancora nemmeno riesce a lavorare. Il resto, la pattuglia di colleghi assunti, è impegnato a combattere battaglie quotidiane di sopravvivenza all’interno delle redazioni, chi per conservare il posto di lavoro, chi per difendere la propria autonomia, chi per non essere “messo in freezer” dal direttore-kapò di turno.
Altro che felicità.

Per dire, sarebbe sin troppo facile raccontare le disavventure di Sardegna 1, la TV dell’editore-banchiere che non paga gli stipendi – ma non salari da favola, salari base, ridotti all’osso, e in più decurtati del 35 per cento sulla base degli accordi del contratto di solidarietà applicato nel gennaio di quest’anno. Sarebbe lungo, ma troppo facile, considerato che sono parte in causa. E poi non è questa la sede.

Però è davvero un peccato che non si riesca ad aprire un confronto serio sullo stato dell’informazione televisiva in Sardegna. Il settore televisivo sardo, che per molti anni è stato un punto di riferimento, un modello al quale si sono ispirate tante realtà nazionali, oggi è un morto che cammina.

Alcune TV sono scomparse. Aziende territoriali importanti come Nova TV e Cinquestelle sono state fortemente ridimensionate. Di Sardegna 1 già si sa. È rimasta soltanto Videolina, apparentemente la più solida e vitale, che molto deve al fatto di appartenere al gruppo Unione Sarda.

La verità è che la cosiddetta “rivoluzione del digitale” s’è rivelata un fiasco, una grande bufala. La moltiplicazione dei canali è fumo negli occhi. Il digitale avrebbe dovuto portare a una “diversificazione” dell’offerta, avrebbe dovuto dare impulso alle produzioni, alle proposte innovative. Avrebbe persino dovuto garantire nuovi posti di lavoro.

Niente di tutto questo è accaduto. Gli editori sardi – ma sarebbe più corretto definirli pseudo-editori – non hanno saputo agire da imprenditori veri, si sono rivelati incapaci. E altrettanto incapaci, è opportuno sottolinearlo, si sono rivelati i giornalisti, il sindacato. Non hanno fatto nulla per evitare che si arrivasse al punto in cui siamo, non hanno saputo porre un freno all’azione scellerata degli pseudo-editori.

Il sistema di informazione televisiva regionale è ridotto in macerie, alla mercé dei politicanti di turno. Le aziende vivono solo grazie alle sovvenzioni pubbliche, statali e regionali, grazie alle campagne pubblicitarie istituzionali, ai “finti” programmi di approfondimento giornalistico sostenuti finanziariamente dagli enti e dagli assessorati regionali. È triste doverlo rimarcare ma il confine tra informazione e pubblicità ormai s’è completamente dissolto.

Per come la vedo io, l’isola felice del giornalismo, questa Sardegna idilliaca, penso che viva solo nella testa di chi ha le spalle coperte e il culo al caldo, di chi negli ultimi anni ha fatto il doppio gioco, sbandierando il vessillo della libertà di stampa mentre stringeva patti scellerati con la controparte.

Per come la vedo io, non sarebbe affatto una cattiva idea se i giornalisti sardi ricominciassero finalmente a raccontare la realtà. A iniziare da quella delle redazioni in cui lavorano.

Auguri al giornalismo (o a quel che è rimasto).

 

3 Comments

  • Marcella

    6 Novembre 2012 at 17:15

    Bellissima riflessione che sottoscrivo in pieno, anche perchè pure io a veder definire la Sardegna come isola felice per l’editoria non potevo credere ai miei occhi. Sei sempre un grande!
    Grazie di cuore anche per aver inserito “Il mio giornale” nel box “Altri siti”

    Rispondi
  • Pier Luigi Zanata

    12 Novembre 2012 at 18:11

    La vicenda Sardegna1 ha riproposto in forma drammatica la situazione dell’ informazione in Sardegna, la qualità della comunicazione e del lavoro dei giornalisti, che anche nell’ Isola mette in discussione il problema del diritto a conoscere la società civile in tutte le sue espressioni.
    Accade, anche se qualcuno parla della Sardegna come di un’ isola felice, di assistere a sperimentazioni non tanto occulti di nuovi e talvolta arrembanti metodi di gestione degli spazi informativi da parte degli editori, sempre più spesso collegati a una feroce occupazione del potere.
    Facciamo un passo indietro.
    ‘’Il caso sardo è emblematico. L’ influenza degli editori e delle proprietà, in qualche occasione, si è fatta evidente e avvolgente’’. Così il segretario della Fnsi, Franco Siddi, nel 1994, allora presidente dell’ Assostampa della Sardegna.
    E’ cambiato qualcosa? No!
    Oggi come allora gli editori, i padroni, forzano le regole esistenti, cercando di eliminare i giornalisti scomodi, mettendo in discussione diritti contrattuali e persino doveri al lavoro di singoli giornalisti. E’ improponibile in una società civile evoluta che le regole se le dà e se le modifica con concorso di tutte le parti e non con l’ iniziativa autoritaria di una di esse, quella più forte, che si ritiene in grado di licenziare e non pagare i propri dipendenti.
    La Sardegna, il caso Sardegna1 è sotto gli occhi di tutti, è diventata terreno di sperimentazione per tentare di introdurre nel sistema informativo brutali esempi di deregolamentazione.
    Nel 1994, Franco Siddi, scriveva ‘’Ma è in Italia e anche in Sardegna che, alla luce delle esperienze più recenti si pone in maniera ineludibile la questione della separazione degli interessi privati da quelli dell’ informazione considerata nella sua funzione pubblica’’.’’Ciò vale ancora di più per i giornali e le televisioni locali, quindi per realtà come quella sarda, dove i contatti diretti con le proprietà e con la rete dei diversi poteri è più probabile e più frequente’’.’’Il riferimento brutale alle leggi di mercato rischia, senza interventi di bilanciamento, di ridimensionare il pluralismo delle voci e di rafforzare il sistema delle concentrazioni e dei poli informativi’’.
    Mi pare che niente sia cambiato in questi 18 anni. Quello che Franco Siddi diceva nel 1994 può servire ad illustrare la situazione italiana e sarda, di oggi.
    O forse chi parla della Sardegna come di un’ Isola felice nel campo dell’ informazione lo fa solo perché, al contrario del 1994, non esiste più la contrapposizione tra l’ editore dell’ Unione Sarda, Nicola Grauso, e la redazione del quotidiano? Contrapposizione che portò i colleghi dell’ Unione a riavvicinarsi al sindacato dei giornalisti, snobbato per anni. I giornalisti del quotidiano cagliaritano, o almeno una parte di essi, si rivolsero al sindacato quando Grauso, smise di pagare fior di stipendi, e attaccò le regole esistenti, quelle contrattuali e quelle delle consuetudini aziendali, soprattutto quelle che vedevano l’ editore cedere sul piano economico a ogni stormir di fronde.
    Ma si sa! Allora conveniva risolvere la vertenza Unione, fonte di voti per le elezioni negli organismi sindacali. Oggi i quattro gatti di giornalisti di Sardegna1 possono essere lasciati in pasto al padre padrone dell’ emittente.
    Allora valeva che ‘’le regole, finché non modificate da patti leali tra le parti o da norme di legge del nostro regime (che brutta parola ndr) democratico, debbono essere considerate da chiunque veri e propri capisaldi, limiti invalicabili da chiunque’’.
    Oggi queste ‘’belle parole’’ non valgono per il padrone di Sardegna1, lasciato libero, con l’ accordo concluso con l’ aiuto dell’ Assostampa e della rappresentanze sindacali di categoria, di pagare come e quando vuole gli stipendi ai giornalisti e agli altri dipendenti. Eppure nel 1997 l’ Assostampa, presidente e vicepresidente, Franco Siddi e Francesco Birocchi,in un documento sulla crisi di Sardegna1, affermava che ‘’intende battersi in tutte le sedi perché qualunque sia l’ evoluzione della vicenda ci sia il rispetto delle regole che riguardano il lavoro giornalistico, senza sconti per le situazioni pregresse. Chiunque vuole avviare un’ attività editoriale, anche in campo televisivo, è tenuto all’ osservanza piena delle leggi che regolano la materia, anche in campo dei contratti di lavoro’’.
    Domando perché queste regole dovevano valere per l’ allora editore, Ragazzo, proprietario di case di cura private, e non devono valere per l’ attuale padrone, Mazzella, imprenditore del turismo, ma anche e soprattutto presidente di una importante banca sarda? Forse perché il potere dei soldi è forte, molto forte? Honni soit qui mal y pense! A pensar male si fa peccato ma spesso si coglie nel giusto!

    Sardegna isola felice?
    Ritengo che la Sardegna stia vivendo una situazione difficile e oscura, ciò vale soprattutto per le avventure che si affacciano ciclicamente, prospettando nuove avventure editoriali, per poi lasciare i giornalisti a spasso. Gli esempi di questi ultimi anni sono davanti a tutti.
    Per favore non si parli più di Sardegna come isola felice dell’ informazione. Non si può poi continuare a dire che il sindacato c’ è, che c’ è sulle cose serie e che continuerà ad esserci.

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