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Il bazar del risentimento

Il bazar del risentimento.

La tua storia non sta in piedi, fa acqua da tutte le parti: così gli dicevano.
E lui era d’accordo, ma fino a un certo punto.
Le storie, pensava lui, hanno quasi sempre un difetto, se a raccontarle sono i protagonisti. Sanno di sentimenti intangibili, pianti, sorrisi e troppa creatività.
Eppure la sua storia avrebbe avuto un senso pure se fosse stato un altro a raccontarla. Un senso meno affascinante e misterioso, forse. Più profondo, con molti punti di vista, anche sgradevoli, forse. Un senso di giustezza, pensava lui. Un senso calibrato, come accade in certe storie moderne.
Se fosse stato un altro a raccontarla, quella storia, avrebbe avuto un senso più sobrio, forse ordinario. E sarebbe stato un peccato.
In verità, alla sua storia occorreva concretezza, e un po’ di quei dettagli impercettibili ma ostinati che si distendono sulle pieghe della vita, come macchie incancellabili, rivelatrici di vergogna o di misericordia a buon mercato. Tuttavia, un altro che la raccontasse, la sua storia, non l’aveva mai trovato. L’aveva cercato, questo sì.
Per anni non aveva fatto altro che pubblicare annunci sulle pagine dei quotidiani, appendere le foto del suo volto sulle pensiline delle stazioni, sui pali scrostati dei lampioni, sui muri delle scuole, sui filari dei cipressi, sulle bacheche delle università, sui confessionali delle chiese, sui banconi unti delle pizzerie e sugli specchi ornati dei bar. Ma niente di niente. La storia di quell’uomo restava un mistero. La sua faccia continuava a restare lì, su quegli avvisi stropicciati e ormai ingialliti, come a supplicare un ricordo, una parola, uno squarcio di luce che illuminasse il buio delle amnesie.
Ditemi chi sono: era ciò che chiedeva. Ditemi che nome ho, ditemi che cosa ho fatto, ditemi perché. Ditemi se e quanto mi amate, ditemi se e quanto mi odiate. Ditemi qualsiasi cosa, purché riguardi me e la mia vera storia. Non chiedeva altro. 
L’uomo senza un passato: così lo avevano ribattezzato.
Le storie, pensava, alla fine un senso ce l’hanno. Tutte. Anche la mia. Forse non saprò mai chi sono stato, ma non importa. Gli uomini che parlano troppo di sé, rifletteva, spesso trovano la vita un viaggio cupo, solitario e anche un po’ irritante.









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