La pappa

La pappa.

Questa mattina mentre facevo colazione e alla tv c’era un programma che raccontava la storia di Coco Chanel, che non ho ben capito se durante la seconda guerra mondiale sia stata collaborazionista o meno, bisogna che mi informi, ché non posso vivere con l’ansia di non sapere se Coco Chanel sia stata collaborazionista o meno, è successa una cosa strana, è successo che il dito medio della mano destra ha fatto un movimento separatista, s’è allontanato dalle altre dita e, inconsapevole del fatto che il gesto, vibrante e indipendentista, avrebbe dato la stura a un profondo mutamento, è scivolato sui tasti del telecomando, pigiando qua e là, un po’ a casaccio, senza nemmeno darmi il tempo di salutare Coco.

Al centro del teleschermo sono comparsi in sequenza alcuni volti della politica italiana. Nella parte bassa scorreva un lungo serpentone di notizie, gli aggiornamenti sulla crisi di governo.

E niente. Poi accadono cose che non sai perché, ma fatto sta che a un certo punto m’è tornato alla memoria quel campeggio a Villasimius, intorno alla metà degli anni settanta, noi eravamo ragazzi, io, i miei amici, che in pieno agosto avevamo sistemato una tenda enorme su una spiaggia deserta, nessun bar, nessun negozio di alimentari nel raggio di chilometri, neanche l’acqua potabile, che ci toccava andare a prenderla con i bidoni, a piedi, alla fontana del paese.

M’è venuta in mente quella mattina che avevamo deciso di preparare il sugo per la pasta, ché altro non avevamo portato da mangiare, pomodori pelati, spaghetti, carne in scatola, tonno, olio, sale, zucchero, biscotti, latte e caffè.

Passammo i pelati in una marmitta, aggiungemmo dell’olio, mettemmo sul fuoco, un fornello nemmeno tanto grande, e ci armammo di un mestolo di legno, lo stesso con il quale ci divertivamo a cacciare le mosche di giorno e le zanzare la notte. Lo affondammo nella densità della salsa rubiconda, girammo e rigirammo, finché il sugo non cominciò a ribollire. Sembrava avessimo fatto un buon lavoro, nonostante fossimo principianti. Il profumo non era male.

Poi, però, giunse il momento di assaggiare.

Forse manca il sale. Sì, aggiungi sale. Che dici? Non so, è troppo salato. Beh, aggiungi zucchero. Ma così è troppo dolce. Assaggia un po’. Che dici? Aggiungi sale. Sì, aggiungi sale. Com’è? Troppo salato. Aggiungi un altro po’ di zucchero. Adesso com’è? Beh, mi sa che è troppo dolce. Aggiungi un altro po’ di sale. Va bene. Assaggia. Com’è? Aspetta un attimo. Che c’è? Allora? Senti un po’. Sì. Allora?
Cazzo. Questa cosa sa di merda.

Ecco, non so. Facevo colazione, pensavo a quel sugo di pomodoro, scorrevo gli aggiornamenti della crisi di governo.
Più o meno è la stessa cosa, mi sono detto.
Metti la fiducia, togli la fiducia, rimetti la fiducia, ritogli la fiducia, rimetti la fiducia, ritogli la fiducia, rimetti la fiducia, ritogli la fiducia, rimetti la fiducia.
Comunque sia, mi sono detto, il sapore è sempre quello, eh.

 

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