Avanti e indietro

Avanti e indietro.

Lo guardavo strano, Fausto. Ma dopotutto lui era Fausto. E tutti lo guardavano strano.
Fausto che faceva avanti e indietro, da un molo all’altro.
Fausto era alto, timido e molto serio. Il viso lungo, gli occhi color del cielo, una piccola macchia viola sul mento.
Fausto lo incontravo al porto. Lui camminava, il capo chino, l’andatura lenta.
Fausto faceva avanti e indietro. Così per ore, da un molo all’altro. Giungeva fino alla punta, fino al margine estremo. Le braccia conserte, le palpebre socchiuse. Si fermava a guardare il mare, prima di tornare sui suoi passi.
Camminava sempre, Fausto. Il capo chino, l’andatura lenta.

Pensa alle guerre, mi diceva.
Penso che cosa, gli chiedevo io.
Pensa se le guerre, mi diceva.
Pensa se le guerre che cosa, gli chiedevo io.
Pensa se le guerre si combattessero a suon di abbracci, mi diceva Fausto.
A suon di abbracci, ripetevo io.
Se le guerre si combattessero a suon di abbracci, io partirei volontario, andrei subito a far la guerra, diceva lui.

Lo guardavo strano. Ma dopotutto lui era Fausto. Che faceva avanti e indietro, da un molo all’altro.

E com’è che si vincono, le guerre combattute a suon di abbracci, gli chiedevo.

Pensa agli eserciti schierati sul campo di battaglia, mi diceva. Pensa alle migliaia di uomini, alle migliaia di donne. Pensa allo squillo di tromba che precede la contesa. Pensa agli abbracci iniziali, gli abbracci più esitanti, gli abbracci più insicuri, vacillanti e goffi come i primi passi di un bambino. Poi pensa agli abbracci successivi, già più sicuri, meno instabili, il contatto tra i corpi, le mani che stringono spalle, colli, fianchi. E pensa agli abbracci che seguono, abbracci più spavaldi, sensuali, che sfiorano sapendo di sfiorare, toccano sapendo di toccare, afferrano sapendo di afferrare. Abbracci sempre più spavaldi, sempre più sensuali.
Sensuali, ripetevo io.
Sensuali, ripeteva lui.

Fausto allora distoglieva lo sguardo dal mare, mi fissava negli occhi e mi trasmetteva una sensazione acuta di smarrimento, come una specie di vertigine.

Sì, gli dicevo io, ma poi chi è che vince la battaglia.
Chi sa abbracciare con più dolcezza, con più tenerezza, con più passione. Finché un esercito non si arrenda all’altro. Finché vinti dalla grazia e dalla voluttà degli abbracci, gli stessi soldati non dichiarino la resa incondizionata, diceva lui.
Incondizionata, ripetevo io.
Incondizionata, ripeteva Fausto.

Lo guardavo strano, ma dopotutto lui era Fausto. Fausto che faceva avanti e indietro, da un molo all’altro.
Per non parlar dei baci, diceva lui.
Dei baci, dicevo io.

Pensa agli eserciti schierati sul campo di battaglia, mi diceva. Pensa alle migliaia di uomini, alle migliaia di donne. Pensa allo squillo di tromba che precede la contesa. Pensa ai baci iniziali, i baci timidi, sulle guance, a fior di labbra, come i baci che si scambiano i bambini che giocano a fare i fidanzati. Poi pensa ai baci successivi, il contatto tra le bocche, le lingue che frugano, gli scambi di saliva, i respiri nei respiri. E pensa ai baci che seguono, baci che esplorano, baci che denudano, baci che danzano sulla pelle, baci liquidi, baci che profumano, baci sempre più spavaldi, sempre più sensuali.
Sensuali, ripetevo io.
Sensuali, ripeteva lui.

Guardava il mare, guardava il cielo. Poi guardava me.

Sai una cosa, chiedeva.
Che cosa, chiedevo io.
Il nostro compito è quello di rinascere, rispondeva.

Lo guardavo strano, ma dopotutto lui era Fausto. Fausto che faceva avanti e indietro, da un molo all’altro. Camminava, per lo più. Il capo chino, l’andatura lenta.

Lo guardavo strano, ma i suoi racconti di guerre e di baci e di abbracci mi piacevano. Un po’ come i suoi sguardi, mi trasmettevano una sensazione acuta di smarrimento, come una specie di vertigine.

Poi un giorno Fausto se n’è andato. Si è arruolato, è partito volontario.
Mi sa che è andato lì, non so bene dove, a combattere le sue guerre.
Fausto, che il coraggio di baciare e di abbracciare ce l’aveva sempre avuto.





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