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Il chiodo nella roccia

Il chiodo nella roccia.

Apro il finestrino della panda, faccio entrare una folata di aria torrida e guardo la lunga coda di auto ferme sulla strada provinciale che da Siddi conduce all’altopiano, dove tra meno di un’ora deve suonare Stefano Bollani, solo lui e il suo pianoforte, proprio davanti a “Sa Domu ‘e s’Orcu”, una Tomba dei Giganti.

Frizione, cambio, freno. Frizione, cambio, freno. Si avanza di un metro al minuto.

Guardo la lunga coda di auto ferme, e penso che forse non è stata una buona idea, salire sin quassù.
Viviana non commenta, sentenzia: peggio che da Villasimius a Cagliari in un normale pomeriggio d’estate.

Va be’, poi in realtà la coda è lunga, sì, ma non si tarda più di tanto ad arrivare a Pranu ‘e Siddi. Quando si dice l’efficienza degli organizzatori. Penso che a questi organizzatori, quasi quasi si potrebbe affidar loro l’appalto per la gestione del traffico sulla Villasimius-Cagliari, nelle normali serate d’estate.

L’altopiano di Siddi è maestoso.
Ci sono migliaia di persone davanti a tante altre persone davanti a un piccolo gruppo di persone in piedi davanti a un piccolo palco sistemato davanti all’ingresso della Tomba davanti a una porzione di panorama che è qualcosa di più di un semplice panorama. Ed è anche per questo motivo, per vedere questo panorama, che vale sempre la pena arrivare quassù, sull’altopiano di Siddi.

Bollani gigioneggia, ma sino a un certo punto. E comunque è bravo e se lo può permettere, di gigioneggiare sino a un certo punto. E comunque, mentre ascolto Bollani che gigioneggia sino a un certo punto e diteggia sui bianchi e sui neri, mi viene da pensare a quali idee e congetture potrebbero passare per la testa di tutte quelle anime invisibili e friggenti seppellite nella Tomba dei Giganti, se in questo momento potessero sentire la musica di Bollani che gigioneggia.
Anzi, a rifletterci bene, tutte quelle anime invisibili e friggenti le posso vedere adesso, qui, sull’altopiano, appollaiate sulle pietre, sui resti dei nuraghi, sui muretti a secco, sui grandi blocchi di basalto, sdraiate tra i cespugli, o nascoste all’interno della camera funeraria, gli occhi vispi a sbirciare tra le fessure dei massi sovrapposti.

Poi, di colpo, le anime invisibili e friggenti scompaiono, se ne vanno, chissà dove. Se ne va anche Bollani. Ce ne andiamo anche noi, a Siddi, in compagnia di Gianni Atzeni, che abbiamo incontrato lungo strada.
Vorremmo mettere qualcosa nello stomaco, approfittando dell’evento Aggiungi un posto a tavola, seicento coperti nelle tavole imbandite lungo le vie. Purtroppo, però, non abbiamo prenotato. Un bel guaio, ci dicono tutti quelli a cui chiediamo.
Già, perché non c’è posto per tre vagabondi gongolanti mendicanti un piatto di cibo caldo senza prenotazione.
Ma non ci arrendiamo, chiediamo aiuto alla signora Anna, protettrice dei vagabondi gongolanti mendicanti un piatto di cibo, caldo o freddo purchessia, lei che può, lei che sa, lei che di solito provvede, fa miracoli. Ma niente. Nemmeno Anna, la nostra protettrice, dopo averla invocata per le vie del paese, nemmeno lei può. Non c’è posto. Punto.

Vagabondi mendicanti ma poco gongolanti lasciamo Siddi e le sue tavole imbandite. Siamo appetitosamente delusi.

Allora Gianni ferma un tizio, gli estorce delle informazioni riguardanti ristoranti e pizzerie in zona. Il tizio sembra credibile, fornisce indicazioni interessanti. Così montiamo in macchina e puntiamo verso Lunamatrona, dove se non fosse per l’aiuto di quattro anziani seduti su una panchina al centro di un crocevia, non sapremmo proprio come orientarci.

Perdersi a Lunamatrona potrebbe non giovare alla nostra autorevolezza, penso.

A ogni modo, i quattro, anzi, i tre – uno non dice nulla, nemmeno sembra voler dare segni di compartecipazione – alla semplice domanda: “dove?”, rispondono sollevando un braccio: “là!”.

Un paio d’ore, due birre e tre pizze più tardi, siamo di nuovo a Siddi. Accompagniamo Gianni a recuperare la sua auto, impresa che comporta una buona dose di difficoltà, se non ci si ricorda con esattezza il punto in cui si è parcheggiata l’auto. Ma Gianni è sicuro di sé. Fa un gesto come dire “non preoccupatevi, prima o poi la trovo”.
Sapremo che poi ce l’ha fatta.

La mezzanotte è passata da un po’. A Siddi incrociamo Ilenia e Agostino. Passeggiamo, beviamo birra, chiacchieriamo. Spiego loro la nostra idea: salire sull’altopiano, sistemarci in qualche maniera nei pressi de Sa Domu ‘e S’Orcu, guardare il cielo stellato, attendere l’alba, ascoltare il concerto della violinista Anna Tifu, previsto alle sei del mattino.

E così facciamo.

E mentre la notte se ne va, mentre la luna è più alta che mai, mentre Agostino ci racconta storie di misteri e di Marmilla, sas Pregadorias, de chi ses Martinu de paraulas bona naramindi una, su soli luxi prus de sa luna, mentre le anime invisibili e friggenti ci osservano da chissà dove, mentre l’altopiano è un vivace viavai di mistici, campeggiatori, camperisti, nottambuli, saccopelisti, revisionisti e camionisti, mentre s’alza un lieve maestrale e comincia a fare fresco, mentre Ilenia e Viviana cercano rifugio tra le rocce, mentre riesco persino a vedere un paio di stelle camminanti e saltellanti, proprio stelle che di punto in bianco si muovono e cominciano ad andare a zigzag su per il nero del cielo, mentre sto pensando che queste stelle sono davvero la cosa più strana che abbia mai visto, mentre penso che le Pleiadi viste da questo posto sembrano ancora più belle e grappolose, mentre succede tutto questo, nel silenzio del mondo che respira, sento Agostino scoppiare in una sonora risata.
– Che c’è? – gli chiedo, perché io ad Agostino non l’ho mai sentito ridere così sonoramente.
– Vieni qua – mi dice. Continua a ridere.
– Ma che c’è?
– Vieni qua – ripete lui.
Mi avvicino. Ha una mano poggiata sulla roccia, uno dei grandi massi che compongono l’architrave della Tomba.
– Metti un dito – dice. Non riesce a frenare le risate.
Lo guardo. Penso che abbia trovato qualcosa di molto speciale, un segno storico, una traccia rilevante di non so che cosa.
E insomma, mi preparo mentalmente a qualcosa di straordinario, quando appoggio il dito nel punto indicatomi da Agostino.
C’è un chiodo.
– Un chiodo? – gli domando.
Ua puncia – ride Agostino, non si dà pace.
E allora ci penso su un attimo, e mi metto a ridere pure io. Un chiodo.
Penso: che cazzo ci fa un chiodo piantato nella roccia di una tomba dei Giganti, vecchia di migliaia di anni?
– Un chiodo – continua a ripetere Agostino – un chiodo, capisci?
Già. Un chiodo.
E allora capisco che se le anime invisibili e friggenti che ci osservano da chissà dove potessero parlare, se potessero guardarci negli occhi, se potessero esprimersi, chissà quante storie avrebbero da raccontarci, sulla stupidità dell’uomo.

 

Nella foto, la violinista Anna Tifu.

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