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La democrazia del ringraziamento

La democrazia del ringraziamento.

Questa mattina un mio amico che tanti anni fa è andato a vivere fuori dalla Sardegna, anzi, è andato a vivere e a lavorare proprio fuori dall’Italia, mi telefona e mi chiede Oh, beh, dimmi un po’, ma com’è che andata, su, fammi un’analisi del voto.
Gli rispondo che non saprei, che io, un’analisi del voto, non la so fare. Gli dico che non ho nemmeno indovinato com’è che sarebbero andate a finire, queste elezioni. E che se non so fare le previsioni, figurarsi se so fare le analisi.
Io, per esempio, nel seguire un giro tortuoso di pensieri che mi frullavano in testa durante la campagna elettorale, mi ero fatto l’idea che alla fine avrebbe vinto uno. Poi, invece, ha vinto l’altro.
Nel seguire un giro di pensieri ancora più tortuoso, avevo pure immaginato che Michela Murgia avrebbe fatto sfracelli. E invece niente. Pure quella previsione ho sbagliato.
Quindi, altro che analisi.
Ma il mio amico non molla. Vuole sapere, vuole capire.
E allora gli dico dell’astensionismo, gli dico che un sardo su due non è andato a votare. Brutta cosa, dice lui. Eh, dico io. Ma tu hai votato, mi chiede lui. Certo che ho votato, gli rispondo.
Fammi capire, mi dice lui.
Ecco, adesso fai conto che io esca da casa e che incontri un tizio, gli dico, beh, quel tizio lì di sicuro non è andato a votare. Uhm, mi fa lui, non è mica detto. Sì, gli dico, ma ho il cinquanta per cento di probabilità di avere ragione. Una su due, fa lui. Esatto, gli dico, proprio come i sardi che non sono andati a votare. Sì, ma che cosa c’entra, mi domanda. Niente, era tanto per dire, gli faccio io, era per farti capire com’è che mi sento adesso quando incontro un tizio per strada, nell’ascensore, al distributore o al supermercato, ché sono perplesso, non sempre riesco a farmi un’idea, o a intuire da che parte stia il tizio che incontro, se stia tra i cinquanta che sono andati a votare, o tra i cinquanta che non sono andati a votare.
Ma che cosa te ne frega, mi chiede lui. Non lo so, gli dico. Eh, mi dice lui, ma non mi hai fatto capire perché. Perché cosa, gli chiedo. Niente, mi dice lui, lascia perdere.
E allora gli racconto che adesso chi ha vinto ringrazia chi lo ha votato, e chi ha perso ringrazia chi lo ha votato, e chi ha vinto ma non è stato eletto ringrazia ugualmente chi lo ha votato e anche chi non lo ha votato, e chi ha perso e non è nemmeno stato eletto ringrazia chi lo ha votato e chi non lo ha votato.
E insomma, sembra ci sia una gara a chi ringrazia di più e meglio. Sembra la festa del ringraziamento, gli dico, sembra una festa per la democrazia del ringraziamento.
Già, mi dice lui. Ma non mi hai ancora spiegato come.
Come cosa, gli chiedo. Com’è che è andata, fa lui, potresti farmi un’analisi del voto, per esempio. E siccome non ho voglia di smadonnare, non ho voglia di mandarlo a quel paese, che mi sembra maleducato, ché dal suo, di paese, se n’è già andato, parecchi anni fa, allora al mio amico gli racconto di quando ieri sera, prima di rientrare a casa, ho incrociato un tale che mi ha riconosciuto e mi ha chiesto Ma quindi, eh, quindi chi ha vinto?
Non ero di buonumore. Non avevo voglia di chiacchierare. Non avevo voglia che mi riconoscesse qualcuno per chiedermi chi avesse vinto le elezioni. Non avevo voglia di niente, se non di tornare a casa.
Però il tale non mollava. E allora gli ho risposto.
Il centrosinistra, gli ho detto, ha vinto il centrosinistra.
Oh, ha fatto lui inarcando mezzo sopracciglio.
Eh, gli ho detto.
Quindi sono tornati i comunisti, ha aggiunto lui.
Magari, ho detto sottovoce.
Spero stia scherzando, ha detto lui stizzito.
Ma certo, gli ho mentito, ma certo che scherzo.
No, perché, guardi, proprio non ci voleva, eh, ha aggiunto lui, proprio non ci voleva.
Non ho replicato. Non ne avevo voglia. Ho salutato cortesemente, ho ripreso a camminare verso casa.
Ecco, m’è venuto da pensare: il cinquanta per cento stronzo, proprio il cinquanta per cento stronzo, mi doveva capitare di incontrare.

 

la strada

 

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