Lingua
Lingua.
Ora succede che nella tasca del giubbotto mi ritrovo questo appunto con su scritto Lingua. Nient’altro. Lingua, e basta. Lingua: con la elle maiuscola e tutto il resto minuscolo.
Lingua. Un appunto su carta. La scrittura è la mia, non c’è alcun dubbio. Il foglietto è stato piegato in due e sistemato insieme a un biglietto dell’autobus.
Lingua. Scritto con inchiestro nero. Suppongo si tratti della mia penna Vball Grip 10. Non cito la marca, ma insomma, se uno conosce il modello può intuire.
Lingua. E non ricordo più per quale motivo abbia deciso di appuntarmi su un foglietto di carta la parola Lingua con la elle maiuscola e tutto il resto minuscolo. Lingua. Al centro di questo foglietto bianco e quadrato. Che se ho conservato, un motivo ci sarà. Che se ho piegato in due, un motivo ci sarà.
Lingua. Che allora sono andato a cercare sul vocabolario della Treccani.it.
lìngua s. f. [lat. lĭngua (con i sign. 1 e 2), lat. ant. dingua]. –
1.
a. Organo della cavità orale dei vertebrati, con funzione tattile e gustativa, che ha anche parte importante nel processo della masticazione e della deglutizione e, nell’uomo, nell’articolazione del linguaggio; sotto l’aspetto anatomico, è un organo muscolare, rivestito di mucosa, mobilissimo in tutte le direzioni, di forma allungata e appiattita, fissato nella sua parte posteriore all’osso ioide e al pavimento della bocca per mezzo del frenulo: la parte anteriore, posteriore, superiore, inferiore della l.; la punta o, più tecnicamente, l’apice della l.; l. sottile, grossa, appuntita; l. bifida o biforcuta, di alcuni rettili (fig., di persona insincera, che parla diversamente da come pensa); avere la l. rosea, rossa, bella, pulita, in condizioni di salute normali, o bianca, patinosa, sporca, per cattiva digestione; l. enfiata, ingrossata, ecc.; avere la l. secca, asciutta, arida, riarsa, per la sete o per aver parlato a lungo; schioccare la l.; far vedere la l. (per es., al medico); mostrare, tirare fuori la lingua (anche come atto di scherno); con un palmo di l. o con tanto di l. fuori, con la l. penzoloni (di un cane ansimante, di un impiccato, e, per iperbole, di una persona che arrivi tutta trafelata). Mordersi la l., incidentalmente durante la masticazione o battendo il mento, oppure volontariamente per frenare il riso, per impedirsi di pronunciare qualche parola che sale spontanea alle labbra, o accorgendosi di aver detto qualcosa che sarebbe stato meglio tacere; spesso soltanto in senso fig., fare un grande sforzo per tacere o pentirsi immediatamente di aver detto qualcosa che sarebbe stato bene non dire: appena ebbi pronunciata quella frase, mi morsi la l. (con questo stesso senso, anche mordersi le labbra). Tagliare, mozzare, strappare la l. a qualcuno, come forma di antico supplizio o di pena barbarica (e in frasi fig.: gli si dovrebbe strappare la l., con riferimento a qualche calunniatore, a chi non ha saputo mantenere un segreto, e sim.; scherz., se non stai zitto, ti taglio la l.; storicamente, il taglio o perforazione della l. fu una pena afflittiva che (soprattutto nel rincrudimento delle disposizioni criminali degli stati del sec. 16°) colpiva chi offendeva la verità bestemmiando o testimoniando il falso.
b. Locuzioni riferite alla lingua come organo essenziale della parola: sciogliere la l., tagliare il frenulo linguale, e più spesso fig., gli si è sciolta la l. o ha sciolto la l., di chi, avendo incominciato a discorrere, non la smette più; avere la l. sciolta, la parola facile e pronta (anche per rimbeccare e rispondere); snodare la l., cominciare a parlare distintamente e in modo spedito (anche fig., con lo stesso sign. di sciogliere la l.); snodare o sciogliere la l. a qualcuno, persuaderlo o costringerlo a parlare; avere la l. lunga, essere pronto a rispondere sgarbatamente, a offendere, o incline a sparlare; non avere peli sulla l., parlare con estrema franchezza, senza riguardo per nessuno; avere la l. in bocca, saper parlare, soprattutto per dire le proprie ragioni, e per lo più in frasi interrogative e negative: non hai la l. in bocca? (e più spesso soltanto non hai lingua?, non hai la lingua?), quando qualcuno non dice ciò che dovrebbe dire, o non sa sostenere le sue ragioni; non gli manca certo la l., di chi ha la parlantina facile e sa difendersi con le parole; moderare, frenare la l., tenere la l. a freno, sapersi contenere con le parole; in frasi imperative: tieni la l. in bocca! (fam., non com., tieni la l. a casa!), per ordinare il silenzio a chi parla troppo o non come dovrebbe; hai perso la l.?, a chi se ne sta muto quando dovrebbe parlare; ha perso la l., gli manca la l., scherz., quando qualcuno non risponde a una domanda; quello che ha nel cuore ha sulla l., di persona sincera; dice tutto ciò che gli viene sulla l., di chi parla senza riflettere o senza intender bene ciò che dice; tu parli solo perché hai la l., a chi dice cose poco sensate (oppure cose spiacevoli per chi ascolta); avere sulla punta della l., di nome o parola che si conosce e si è sul punto di dire ma che sul momento non si riesce a ricordare (con altro senso, di frase o risposta che per prudenza ci si trattenga all’ultimo momento dal pronunciare); mettere la l. o mettere l., in una questione, in un discorso altrui, interloquire (più com. mettere bocca). Mi si secchi la l. se non è vero, modo pop. di assicurare la verità di quanto si afferma; ti si secchi, ti si possa seccare, gli si seccasse la l., imprecazioni di sfogo contro chi con le sue parole ha recato offesa o danno. Avere una l. mordace, tagliente (spesso rafforzato, tagliente come un rasoio), velenosa, pestifera, una l. di vipera, di demonio, una l. che taglia e cuce, o che taglia, fende e fora, di chi è pronto alle risposte aspre e offensive, alle malignità, alla maldicenza. Con queste ultime espressioni si allude spesso direttamente alla persona: è una l. velenosa, una l. di vipera; e così: una l. sacrilega, bugiarda, un bestemmiatore, un bugiardo; una mala l. (o malalingua), un maligno, un maldicente (anche assol.: è una l.!, una certa l.!; che l.!, e sim.); essere una l. biforcuta, essere bugiardo o traditore; avere la l. biforcuta, sparlare, spettegolare, diffondere malignità. Nell’uso letter., la lingua è assunta a indicare genericam. la persona anche in altri casi: Se mo sonasser tutte quelle lingue … (Dante), se cantassero tutti quei poeti; D’una in un’altra l. in un momento Ne trapassa la fama (T. Tasso); L. mortal non dice Quel ch’io sentiva in seno (Leopardi). Proverbî: la l. batte dove il dente duole, si ricade spesso a parlare delle cose che più premono o assillano; taglia (o ne uccide) più la l. che la spada, allusione al danno o alle offese che si possono arrecare con la parola.
c. estens., ant. Informazione, notizia data o ricevuta a voce, nelle frasi dare lingua a qualcuno, prendere lingua da qualcuno di qualcosa.
2. La lingua di animale macellato (bue, vitello, maiale, ecc.) usata come vivanda: l. lessa, in umido, in agrodolce, in salsa verde; l. salmistrata, salata, affumicata, ecc.
3. Per analogia, nome di varî oggetti a forma stretta e allungata che ricorda quella della lingua; così, nell’uso di qualche regione, è sinon. di calzascarpe o calzante. L. di fuoco, la punta mobile di una fiamma che si allunga e guizza come una lingua; anche le fiammelle che discesero sul capo degli apostoli nel giorno della Pentecoste. In denominazioni partic.:
a. Lingua di bue, arma bianca corta, in uso dalla metà del sec. 15° all’inizio del 16°, conosciuta anche con il nome di cinquedea (v.).
b. Lingue di gatto, piccoli biscotti da tè, piatti e sottilissimi, talvolta ricoperti di cioccolato; lingue di suocera o delle suocere, biscotti simili alle lingue di gatto, ma più lunghi.
c. Lingue di passero (o di passera), tagliatelle sottili per minestra in brodo o asciutta, dette più com. linguine (v. linguina).
d. Lingua di Menelìk (o di Menelicche), giocattolo formato da un lungo tubo di carta variopinta, ornato di piume, schiacciato e arrotolato su sé stesso: soffiandovi dentro attraverso un cannello, si svolge rapidamente fischiando, e poi, cessando di soffiare, torna con l’aiuto di una molla alla posizione primitiva; molto in voga soprattutto in passato, venduto nelle fiere e durante le feste di carnevale, prendeva il nome dal negus Menelik, divenuto popolare in Italia all’epoca della guerra italo-etiopica del 1894-96.
e. Lingua di terra, forma costiera che si spinge allungandosi nel mare (o, talora, nei laghi) originata da materiali di deposito.
f. Lingua glaciale, espansione a forma di lingua che, nei ghiacciai continentali e alpini, quando non siano contenuti in bacini chiusi o conche, sopravanza sulle restanti parti e scende a più bassa quota; viene detta anche l. di ablazione.
g. In botanica, nome comune o region. di varie piante: l. d’acqua, erba acquatica (Potamogeton natans), quasi cosmopolita, che vive nelle acque stagnanti, con foglie galleggianti, ovatooblunghe e consistenti; l. di brughiera, fungo mangereccio (Polyporus scobinaceus), frequente nei boschi di abete in Europa; l. di bue, fungo edule (Fistulina hepatica), che cresce sui tronchi di quercia; l. di cane, altro nome della piantaggine, e anche di altre piante; l. cervina, o scolopendria, felce della famiglia aspleniacee (Phyllitis scolopendrium), coltivata anche nei giardini, comune in Europa, Asia, ecc., che presenta foglie lunghe fino a un metro, con lamina intera; l. di manzo, o l. di bove, l. bovina, buglossa, erba boraginacea bienne (Anchusa officinalis), con foglie lanceolate o lineari, pelose, e fiori prima rossi, poi violacei in cime formanti nell’insieme una piramide, che cresce negli incolti in gran parte dell’Europa, ed è anche coltivata come pianta ornamentale; l. di serpe, nome region. di alcune piante del genere aro, dette più comunem. gigaro o pan di serpe.
4.
a. Sistema di suoni articolati distintivi e significanti (fonemi), di elementi lessicali, cioè parole e locuzioni (lessemi e sintagmi), e di forme grammaticali (morfemi), accettato e usato da una comunità etnica, politica o culturale come mezzo di comunicazione per l’espressione e lo scambio di pensieri e sentimenti, con caratteri tali da costituire un organismo storicamente determinato, con proprie leggi fonetiche, morfologiche e sintattiche: l. italiana, francese, inglese, tedesca, araba, turca, cinese, ecc.; le l. indoeuropee, neolatine, germaniche, slave; l. creole (v. creolo); l. franca (v. lingua franca); l. dotte o classiche, soprattutto il latino e il greco; l. miste, in genere tutte quelle in cui l’apporto lessicale da altre lingue è notevole in rapporto al lessico originario; l. nazionale, parlata da tutta una nazione, in contrapp. alla varietà dei dialetti e delle parlate regionali; l. materna, quella del paese dove si è nati; l. madre (meno com. linguamadre), quella da cui altre derivano, e considerata relativamente a queste: diverso da madre lingua o madrelingua (v.); l. sorelle, quelle derivanti, con diversa evoluzione storica, da una medesima lingua d’origine (come, per es., l’italiano e il francese, per la comune derivazione dal latino). Secondo un’antica distinzione: l. del sì, l’italiano, l. d’oc, il provenzale, l. d’oil, il francese (denominazioni tratte dal diverso modo di esprimere, in queste tre lingue, l’affermazione). Con riferimento alla particolare struttura: l. agglutinanti (v. agglutinazione); l. flessive, analitiche, sintetiche, isolanti o monosillabiche (v. sotto i singoli aggettivi). Per l. internazionale (o universale) s’intende sia una lingua naturale, cioè già esistente e parlata da una collettività linguistica, usata come mezzo di comunicazione tra individui di diversa nazionalità e lingua (hanno avuto storicamente questa funzione, pur senza ricevere mai un riconoscimento ufficiale, oltre al latino medievale, e in età più recente il latino umanistico e scientifico, lo spagnolo nel sec. 16°, il francese nel 18° e 19°, l’inglese nel 19° e 20°), sia una lingua artificiale (v. artificiale), creata per soddisfare le necessità scientifiche, economiche, politiche di un mezzo di espressione internazionale. L. diplomatica, la lingua usata nei rapporti fra gli stati, e nella quale sono redatti i documenti relativi ai rapporti stessi; l. ufficiale, la lingua diplomatica stabilita come tale in base a specifiche clausole di accordi fra stati, relativamente a un determinato gruppo di relazioni internazionali. Più genericam., lingue di cultura, le lingue nazionali che, per tradizione e prestigio, sono veicolo di diffusione e di contatti culturali non solo tra i membri della medesima comunità linguistica ma anche negli scambî con altri popoli. È detta l. morta (in contrapp. a l. viva o vivente) una lingua che, o non è più usata da nessuno (come, per es., il gotico), o, pur essendo adoperata da persone che l’apprendono con lo studio (come il latino), non è parlata in una comunità linguistica organica né trasmessa di padre in figlio; onde la immobilità di tali lingue in un punto d’evoluzione raggiunto quando erano ancora viventi.
b. Usato assol., con riferimento generico: la grammatica, la sintassi, il lessico o vocabolario di una l.; il carattere (e ormai ant. l’indole, il genio) di una l.; la storia, l’evoluzione della l.; errori, spropositi di lingua; le bellezze (e in passato i fiori, le grazie, le gemme) di una l.; la l. si arricchisce, s’impoverisce, si guasta, si corrompe, s’imbarbarisce; l. ricca, povera di vocaboli; l. armoniosa; buona l., corretta; l. impura, mista di elementi lessicali e di modi estranei alla sua natura (che ne alterano quindi la purezza); studiare, imparare una l.; parlare una l., conoscerla tanto da potersi esprimere correntemente in quella; possedere una l., essere fluenti in una l., conoscerla molto bene. La confusione delle l., quella che sarebbe avvenuta per la costruzione della torre di Babele (v. babele). Modi comuni: non capisco (in) che lingua parli, a proposito di persona che non si fa bene intendere (anche se si esprime nella nostra stessa lingua); che l. parlo?, quando, dopo aver dato un ordine, si vede che non viene eseguito; in che l. debbo parlarti (o parlarvi)?, a chi non vuole intendere parole di chiaro significato o mostra di non voler ascoltare; non parliamo la stessa l. (o anche, parliamo due lingue diverse), tra due o più persone che, per divergenza di opinioni o per incomprensione di altro genere, non riescono a intendersi o seguono ciascuna un ragionamento proprio.
c. Con il plur., s’intende di solito riferirsi genericamente alle lingue straniere: studiare lingue (o, con l’art., imparare le lingue); insegnante di lingue; facoltà di lingue; laurea in lingue, ecc.
d. In altri casi, con il sing., s’intende senz’altro la lingua italiana: l’unità della l., la questione della l.; l. volgare (o il volgare), ant. locuzione per indicare una lingua, in partic. l’italiano, in contrapp. al latino, e ancora oggi usata da filologi e storici della letteratura con riferimento ai secoli delle origini; esercizî di lingua, quelli con cui si cerca di apprenderne l’uso corretto; libro, articolo, componimento scritto in buona l., in buon italiano; testi di lingua, quelli che nel passato sono stati considerati, soprattutto sull’autorità della Crusca, autorevoli in fatto di buona lingua; parlare, poetare in lingua, contrapposto a in dialetto. Estens., poet.: Così ha tolto l’uno a l’altro Guido La gloria de la l. (Dante), della poesia in volgare. L. toscana in bocca romana, modo prov. con cui si è inteso affermare che la lingua italiana, nella sua fondamentale toscanità lessicale, trova a Roma una pronuncia più chiara e spesso etimologicamente più esatta; con sign. affine (ma con riferimento alla dolcezza della pronuncia), è stato detto, fin dal sec. 16°, l. fiorentina in bocca senese.
e. Con accezione più ristretta, il particolare aspetto con cui si configura la lingua in un determinato ambiente, nello stile di uno scrittore, nei successivi stadî della sua evoluzione, o nelle varie sue possibili realizzazioni: l. letteraria, poetica, quella propria dei letterati e dei poeti (anche, linguaggio letterario, poetico; e linguaggio burocratico, giuridico, commerciale, popolare, plebeo, ecc., più spesso che lingua burocratica, ecc.); l. parlata, o dell’uso parlato, quella realizzata oralmente, e più in generale la lingua della comunicazione quotidiana, contrapp. sia alla l. scritta (quella cioè realizzata con simboli grafici, e in senso più ampio la lingua, più controllata, delle comunicazioni scritte) sia ai varî linguaggi settoriali; l. viva o dell’uso odierno, quella in uso ancor oggi; l. trasmessa, quella tipica della comunicazione a distanza, nel parlato (telefono, radio, televisione, cinema ecc.) e nello scritto (Internet, posta elettronica ecc.); la l. del Duecento, del Trecento, ecc.; la l. di Dante, di Manzoni, ecc. L. convenzionale, formata per convenzione da un determinato gruppo di persone, allo scopo di non farsi intendere da altri, come è, per es., il gergo; l. furbesca o furfantina, spec. in passato, il gergo della malavita. Non più com. l’espressione in l. povera, con parole semplici e chiare, dicendo le cose come sono, senza perifrasi o metafore: in l. povera, ti sei comportato da mascalzone.
f. Per metonimia, la parola è usata talora come sinon. di nazione: vi erano genti di ogni l.; così, sono stati detti lingue, nell’Ordine di Malta, gli otto gruppi nei quali si divisero, tra il 12° e il 13° sec., i membri dell’ordine secondo la nazionalità. ◆ Dim. linguétta (v.); meno com. linguèlla, che in parecchie accezioni ha uso comune con linguetta, spec. nel sign. di ancia e di prolungamento a forma di piccola lingua (per il sign. filatelico, v. la voce); linguina (per il plur. linguine, v. sopra al n. 3 c, e v. anche la voce linguina); non com. il masch. linguino; pegg. linguàccia (v.).







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