Appunti (3)

Appunti (3).

11.
Henry David Thoreau (1817-1862) è stato un grande pensatore americano. Quando, sul letto di morte, qualcuno gli domandò se già poteva vedere “l’altra sponda”, lui rispose: “Un mondo alla volta“.
Forse c’entra poco o nulla, ma stanotte ho sognato un sogno talmente angosciante che al risveglio m’è venuta da dire la stessa cosa: “Un mondo alla volta, grazie”.
Non potrei mai fare a meno dei sogni (ammesso che si possa). Anzi, prima di addormentarmi – come lo spettatore nella sala buia del cinema nell’istante che precede la proiezione di un film – già pregusto il momento in cui m’immergerò nella fase dello sonno REM.
Però, talvolta, i sogni mi stremano. A tal punto che mi occorrerebbe un altro po’  di sonno per riposarmi dal sogno appena sognato.

12.
L’altro giorno ho finito di scrivere un racconto che racconta la storia vera di un detenuto. Non è mica facile, come dice lo scrittore Edoardo Albinati, trasformare una storia vera in una vera storia. Ma, al di là di questo – poi il racconto sarà pubblicato, e allora si vedrà – il protagonista di questa storia, affrontando il tema della giustizia, dice delle cose che non sono molto diverse dal pensiero che sulla giustizia aveva il regista Alfred Hitchcock.
Lui, Hitchcock, diceva: “La giustizia non è che un gioco da salotto, un gioco di società”.
Che strano, ho pensato, magari anche Hitchcock ha avuto problemi con la giustizia.
Devo informarmi.

13.
Il tizio del garage di fronte continua a fare bricolage a ogni ora del giorno e della sera. Adesso – per esempio – sta usando un arnese che non saprei definire. Il rumore è quello di un trapano, ma un trapano che non è un trapano, è qualcosa di molto peggio. Il rumore di questo arnese è simile al rumore di un motore che vibra su una gamma di frequenze molto alta, intollerabile. Un rumore che sembra un ronzio. Molto, ma molto più rumoroso di un ronzio, però.
Ecco, ci sono. Il rumore è simile a quello che farebbero mille frullatori se qualcuno decidesse di accenderli tutti e mille insieme, contemporaneamente.
Forse è proprio così. Altro che bricolage. Magari questo tizio, nel suo garage, ha mille frullatori. E, ogni giorno, lui se ne sta lì, nel suo garage, a guardare i suoi mille frullatori che frullano e vibrano su una gamma di frequenze molto alta, intollerabile.
Chissà che cazzo frulla, dico, tra l’altro.

14.
Nell’ultimo disco di Bob Dylan, “Tempest“, c’è una canzone che mi ha sorpreso per la forza e la rabbia con le quali Dylan si esprime. Una voce che quasi fa paura, tanto è ruvida ed espressiva. Erano anni che non cantava un pezzo così, Dylan, in un disco.
La canzone si intitola “Long And Wasted Years“. Ed è, a mio parere, è una delle più belle incise su “Tempest“.
Gli ultimi versi recitano: “We cried on a cold and frosty morn / We cried because our souls were torn / So much for tears / So much for these long and wasted years“.

15.
Grazie al suggerimento del mio amico Davide, l’altro giorno ho installato una nuova applicazione sul mio telefono. Una cosa che non ci volevo credere. Questa applicazione è davvero curiosa. Si tratta di un software per il riconoscimento musicale. Basta avvicinare il telefono, cominciare a canticchiare e l’applicazione riconosce la canzone che si sta cantando. Identico risultato se si avvicina il telefono alla radio, alla tv, alle casse dello stereo.
E insomma. Io sono ancora incredulo, ho appena installato questa cosa nel telefono, e a un certo punto Davide mi fa: “Pensa a una applicazione, del tutto simile a questa, che però, anziché riconoscere le canzoni, riconosca i volti delle persone. Te l’immagini?”.
Abbiamo provato a immaginare. E alla fine abbiamo immaginato che cercavamo le facce di belle ragazze e, grazie al riconoscimento visivo, riuscivamo a scoprire i loro numeri di telefono, i loro indirizzi mail, le loro preferenze in fatto di sesso, e tutto il resto. Poi Wanida e Viviana ci hanno presi a calci nelle caviglie, e abbiamo smesso di immaginare.

 

 

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