Carteggi (26)

Carteggi (26).

Ciao, non so se ti ricordi di me, sono quello che una volta è venuto a casa tua e si è messo a spazzare il pavimento e ad aiutarti a togliere la polvere dagli scaffali dei libri, era talmente tanta che più ne toglievamo più ne usciva. Quella sera mi hai visto entrare e sei scattata in piedi. Eri paonazza e mi hai detto “Ehi!”. Anch’io ho detto “Ehi!”, e siamo rimasti a guardarci fissi, con l’espressione di chi non sa mai se rassegnarsi agli sbagli altrui o mettersi a discutere su ogni piccolo dettaglio che offre la quotidianità. Col passare degli anni ho provato a temperare anche quel tipo di atteggiamento, ma non credo di esserci riuscito. Non del tutto, quantomeno. Poco fa, mentre stendevo la biancheria, mi è venuto in mente Marlon Brando. In “Fronte del porto” ha una vistosa cicatrice sul sopracciglio destro; lui interpreta la parte di un ex pugile. Sembra che tutti gli ex pugili abbiano una cicatrice sul volto. Forse non te lo ricordi ma ne ho una anch’io, di cicatrice, sulla guancia sinistra. Me la sono procurata facendo a botte con un compagno di classe, quando andavo alle scuole medie. A un certo punto lui aveva preso una pietra e mi aveva colpito con violenza. Era schizzato via un bel po’ di sangue. Il medico aveva ricucito lo sbrego: quattro punti, rabberciati alla bell’e meglio. Se non ricordo male, anche Fausto, il marito di tua cugina, è medico. Lui queste cose dovrebbe saperle, di come si ricuce una ferita, voglio dire. Somigliava a Marlon Brando, Fausto. Una volta gliel’ho detto e lui ha fatto una faccia un po’ così. Poi ha abbassato lo sguardo e mi ha detto “Tua moglie è davvero meravigliosa”. Non sapevo che cosa rispondere, in effetti non era nemmeno una domanda. Così non ho detto niente, ho lasciato che i nostri silenzi coprissero quel momento di perplessità. Non siamo mai stati amici, io e Fausto. L’anno scorso l’ho incontrato per caso in un grande magazzino, gironzolavo noiosamente nel reparto di abbigliamento per uomini. Lui sembrava davvero interessato alla merce, ispezionava con cura i prezzi dei cappotti esposti lungo una parete bianca sormontata dal marchio di uno stilista straniero. Gli ho fatto un cenno con la mano. Lì per lì non mi ha riconosciuto, poi ha accennato un mezzo sorriso e anche lui mi ha salutato con la mano. Forse, per un attimo, ha perfino pensato di venirmi incontro. Invece ha ripreso a spulciare le targhette dei cappotti. È stato un bene che non l’abbia fatto, che sia rimasto lì dov’era. Non avrei saputo trattenere il mio disagio, guardandolo negli occhi. I sentimenti di una persona non rimangono completamente nascosti, non troppo a lungo. Conoscevo il suo punto debole. Avrei potuto cedere al desiderio di rivalsa, se solo avessi voluto. Ma non aveva importanza. Né allora né adesso. 

Trascorro questi giorni di solitudine nella casa di Felipe, il mio amico pittore morto due anni fa. La sua ex compagna, Thyra, vive a Siviglia e non sa che farsene di una casa immersa nei boschi, lontana dal centro abitato, lontana da tutto, lontana da tutti. “È proprio la casa che fa per me”, le ho detto. Thyra non ha battuto ciglio. “Per favore, sistema le zanzariere, quando hai tempo”, è stata la sua unica raccomandazione. Ancora non l’ho fatto; mi sono ripromesso che una di queste mattine le sistemerò. 

Mi dicono che le città siano deserte. Che il silenzio sia ovunque. Non so che pensare. Da qualche parte dovrei aver conservato alcune foto delle tue librerie impolverate. Non avrei mai immaginato che un giorno sarebbero diventate un ricordo prezioso.

Rispondi quando puoi. Ti scriverò ancora.
A presto.
D.









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