Carteggi (13)

Carteggi (13).

Ciao, ti scrivo per dirti che oggi è stato il sette di ottobre più ingarbugliato di tutti i sette di ottobre che riesca a ricordare. Forse la parola ingarbugliato non rende l’idea. O forse sì, ma ha poca importanza. E comunque sia, stasera, non appena rientrato a casa, saranno state le venti o giù di lì, ho preso la penna e ho tracciato un cerchio nero intorno alla data sul calendario appeso in cucina. Poco sotto ho aggiunto: CHE COSA SIGNIFICA?

Non la faccio lunga. Io e Hilda questa mattina siamo andati giù in spiaggia e ci siamo rimasti fino al tramonto. Era da tanto che volevamo farlo, e Hilda ci teneva. Nonostante fosse una giornata calda e per niente ventosa, la spiaggia era pressoché deserta. Ho contato non più di quindici ombrelloni, per altro ben distanziati tra loro. C’era perfino un gruppo di turisti, almeno tre adulti e quattro bambini. Avevano piantato due ombrelloni, grandi, colorati, sembravano fatti di un tessuto molto resistente. Il nostro, invece, è un ombrellone minuscolo e scadente, di quelli che è già tanto se durano una stagione. 

Nel primo pomeriggio Hilda si è addormentata. Era distesa a pancia in giù sull’asciugamano, il corpo all’ombra, tranne i polpacci, le caviglie e i piedi. Il sole aveva appena iniziato a girare verso ovest. Faceva molto caldo. Io me ne stavo seduto a ridosso della battigia e guardavo il mare, le onde sottili. Non pensavo a nulla in particolare. Pensavo e basta. Certi pensieri, a metterli insieme, a sistemarli in pila l’uno sull’altro, a trovare le connessioni ideali, a volte, anche se non sembra, possono trasformarsi in pensieri più complessi. I pensieri che nascono dal nulla hanno di buono che si possono ammucchiare come si fa con i biscotti, le monete o le carte da gioco. A ogni modo, quei pensieri sono svaniti all’improvviso non appena ho visto il mare incresparsi.

A neanche dieci metri dalla riva ha iniziato a formarsi una specie di gorgo. Dal gorgo sono emerse dapprima due chele, si muovevano timidamente e sembravano grandi come le braccia di un bambino. Poi ne sono spuntate delle altre, più lunghe, massicce come tronchi d’albero. E subito dopo sono affiorati gli occhi e la testa di un granchio, il granchio più grande e mostruoso che abbia mai visto. Quegli occhi mi fissavano, mentre il granchio agitava le chele, colpiva con forza la superficie del mare producendo spruzzi altissimi. Mi sentivo impietrito, incapace di muovere un solo muscolo, il respiro sospeso in gola. Avrei voluto urlare o semplicemente alzarmi e scappare. Ma quello sguardo mi aveva paralizzato. Non riuscivo nemmeno a girare il collo, sollevare un braccio, men che meno spostare semplicemente un piede. Poi, di colpo, il granchio ha aperto la bocca, o chissà cos’era, e in quel momento ho pensato: ecco, è finita, morirò inghiottito dal mostro, terminerò la mia esistenza inutile nello stomaco di un crostaceo ciclopico; una morte indecorosa, a dirla tutta. E invece no. Il granchio non mi ha inghiottito. Ha continuato a fissarmi e, dopo alcuni secondi che mi sono sembrati interminabili, ha detto: Che cosa significa? Proprio così: Che cosa significa? Il tono era equilibrato e deciso. Una voce ferma e matura. Lo ha ripetuto un’altra volta: Che cosa significa? Quindi, alla stessa velocità con la quale era emerso, si è inabissato. Ora il mare era di nuovo calmo, smeraldino, e soffiava una brezza impalpabile. 

Come puoi immaginare, mi ci è voluto un po’ per riavermi. Continuavo a guardare il tratto di mare dal quale poco prima era sbucato il mostro. Da dove era arrivato? Aveva davvero parlato? E perché? Si era trattato di un’allucinazione? Possibile che il caldo mi avesse giocato un brutto scherzo?   

Mi sono alzato e sono andato da Hilda. Dormiva ancora. L’ho svegliata e, con la lentezza di un prete, le ho raccontato tutto, ogni minimo dettaglio. Lei non ha battuto ciglio, è rimasta in silenzio ad ascoltarmi e poi si è riappisolata. 

Di ritorno verso casa, alle prime ombre della sera, abbiamo incrociato un ubriaco, era scalzo e barcollava, sembrava impegnato a sostenere la propria compostezza come un trapezista su un filo a venti metri da terra durante un temporale. Si è fermato, ha sollevato una mano a mo’ di saluto e, rivolto a noi, ha urlato: Che cosa significa?

Quindi si è infilato un dito nel naso e ha ripreso il cammino.

Rispondimi quando vuoi e se puoi.
Ciao.









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