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Cose che ho pensato (trentacinque)

Cose che ho pensato (trentacinque).

196.
Una volta ho pensato di essere un’ape operaia. Ronzavo tutto il giorno. E quando non ronzavo, cantavo l’Internazionale.

197.
Una volta ho pensato di essere un biscotto. Poi Arturo mi aveva spalmato sopra un po’ di marmellata e la cosa mi aveva infastidito al punto tale che mi ero sbriciolato da solo.

198.
Una volta ho pensato che quand’ero ragazzino non mi piacevano le mie ginocchia. E non mi piacevano neanche i miei gomiti. E i polsi. C’erano davvero poche cose che mi piacevano di me. Non so se anche ai miei amici succedesse la stessa cosa. In realtà mi sembravano sempre così sicuri, così fieri delle loro ginocchia e dei loro polsi.

199.
Una volta ho pensato di avere più di duemila anni, duemila e novantasette, per la precisione.

200.
Una volta ho pensato di essere un uomo in fuga. Una sera lo avevo detto a Arturo, mentre osservavamo in silenzio le pareti azzurrine della cucina. Sono un uomo in fuga, gli avevo detto. Lui aveva sollevato un sopracciglio e dopo un attimo di esitazione aveva detto Siamo tutti infelici, siamo tutti in fuga. E allora avevo provato a immaginare che aspetto potessimo avere, tutti noi, una massa informa di individui in fuga, visti dall’alto, come in un’immagine di Google Earth.
 
foto

nella foto, in fuga

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