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Era la mia bicicletta

Era la mia bicicletta.

Era la mia bicicletta, mi verrebbe da dire, parafrasando Antonio Albanese, alias Alex Drastico, e il suo lungo, tragicomico monologo sul cornutazzo che gli ha rubato il motorino. 
Ecco, caro ladro cornutazzo che mi hai rubato la bicicletta: quella che mi hai portato via era la mia bicicletta, e sappi che tale rimarrà. Per sempre. 
Potrei pregare anch’io madre natura perché possa infradiciarti di grappoli di emorroidi. O perché ti accechi un occhio e ti renda daltonico l’altro. O perché ti doti di un olfatto che tu percepisca ovunque solo odore di merda.

Potrei. Ma non ne ho molta voglia. 

Magari sei soltanto un ladro di biciclette, uno che in questi tempi, così simili a un dopoguerra, ne ha un bisogno smisurato per andare al lavoro, per consegnare pacchi o pizze a domicilio.
O forse sei soltanto un odiatore della mobilità sostenibile, un odiatore seriale auto-insignitosi del ruolo di giustiziere delle piste ciclabili, convinto che far sparire le biciclette, tutte le biciclette, una dopo l’altra, sia la cosa giusta da fare, costi quel che costi. Quasi ti potrei giustificare; capirei che si tratta di una missione, di un incarico per conto di qualche imprecisata divinità motoristica. Perdonarti no, sia chiaro; ma capirti sì, quasi potrei.
La sensazione, però, è che tu, alla fine, sia soltanto un banale cornutazzo. Soprattutto stronzone, lasciatelo dire.
E sappi che, per quanto il nostro amore fosse ancora giovane, davvero ci volevamo bene, davvero stavamo bene insieme, io e la mia bicicletta.
Perciò, caro ladro, come direbbe Drastico, puoi riverniciarla, puoi smontarla, puoi farci ciò che vuoi, ma lei resta comunque la mia bicicletta.

E adesso – per usare un invito caro ad Aldo Palazzeschi – va’ pure a fare in culo. 









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