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Cose che ho pensato (ventidue)

Cose che ho pensato (ventidue).

126.
Una volta ho pensato di essere un ingegnere. La mattina, dopo aver fatto colazione, mi ero seduto in giardino e con la mollica del moddizzosu avevo costruito il Bastione di Saint Remy in miniatura.

127.
Una volta ho pensato di diventare assaggiatore di marmellate. La mattina, dopo aver fatto colazione e essermi seduto in giardino a costruire Bastioni di mollica, avevo assaggiato la marmellata alle pesche preparata dalla zia di Arturo. Poi avevo assaggiato quella alle arance, alle more, ai fichi e alle pere. Ci avevo impiegato una settimana, per farmi passare la dissenteria.

128.
Una volta ho pensato di fare l’economista. Venivo da un brutto periodo di depressione, era autunno e Arturo mi aveva fatto un discorso lungo e circostanziato sulle multiformi insidie nascoste nelle pieghe della storia umana. All’epoca c’erano dei rimandi gucciniani nelle canzoni dei nuovi cantautori e Bob Dylan aveva smesso di incidere dischi. Uribe non se la passava bene e non riuscivo a leggere i romanzi di Gabriel García Márquez, dopo cinque pagine li buttavo. Insomma, era proprio un periodaccio.

129.
Una volta ho pensato di chiedere aiuto. A parte il cane di Arturo, non mi aveva risposto nessuno.

130.
Una volta ho pensato di calciare il rigore sbagliato da Baggio nella finale dei mondiali ’94 contro il Brasile. L’avevo calciato dieci volte di fila e per dieci volte avevo fatto gol. C’è da dire che in porta c’era Arturo, e non aveva i guanti di Taffarel.

 

Uribe_Julio_Cesar

nella foto, Giulio Cesare

 

 

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