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Quaderni del coprifuoco (3)

Quaderni del coprifuoco (3).

Arturo adora la pioggia. La considera una sorta di compensazione benefica della prostrazione spirituale che di tanto in tanto lo tormenta. Quando piove, è quasi di buon’umore. Nel suo sguardo riesco perfino a intravvedere un po’ di sincerità e di sentimento. Senza esagerare, sia chiaro. Arturo non è mai sincero, nemmeno quando dice la verità. 

A ogni modo, non piove da più di un mese. Ed è un autunno mite. 

L’altra sera il tramonto è stato spettacolare. Eravamo seduti sulla veranda della Taverna, scrutavamo l’orizzonte, io, Arturo e Marcel Proust. Lungo la linea piatta il mare sembrava una fettuccia di velluto morbido imbastita coi fiordalisi. Pennacchi di nuvole si arrampicavano fino al cielo srotolandosi tra sbuffi argentei. 

La Taverna è la casa di Natalino. Non è esattamente una casa, più che altro è una specie di stamberga. La chiamiamo Taverna soltanto perché Ramona, la moglie di Natalino, due volte la settimana si diletta a preparare dei piatti succulenti a base di mais, formaggio fuso, verdure piccanti e pollo alla griglia. Il vino pure, di proprietà, non è malaccio. 

Ramona è un’ottima cuoca. Glielo dico sempre: Ramona, come te non c’è nessuno. Natalino, invece, è un pessimo marito. Anche a lui, glielo dico sempre: Natalino, sei un coglione. Quei due sono quel che si dice una coppia male assortita. Però, in fin dei conti ha poca importanza. E comunque sono affari loro.

L’altra sera non tirava un filo di vento. Natalino a un certo punto ha messo su un vecchio disco di Ry Cooder, ha tirato fuori un paio di birre e delle noccioline, e si è seduto con noi a guardare l’orizzonte.

– A marzo mi nasce un figlio – ha detto.
Lo abbiamo osservato con la giusta dose di incredulità. 
– Ramona lo sa? 
– Credo di essere un po’ preoccupato – ha detto lui, ignorando il mio commento stupido e inappropriato. – Ramona è serena. Sua mamma sostiene che sarà femmina. Dice che ha la pancia a punta. 

Marcel Proust ha sbadigliato rumorosamente.

– Sarò padre – ha continuato Natalino. – Che padre sarò? È difficile essere padri. È più difficile che essere figli. Anche se a volta si somigliano. Sembrano uguali, padri e figli. Con i padri non sai mai come dire, con i figli non sai mai come agire. Con i padri il tempo fugge, con i figli non c’è mai tempo. Con i padri si fa notte, con i figli c’è tutto un giorno. 

Arturo ha allungato le gambe e ha buttato giù un sorso. Sembrava assorto in chissà quali pensieri.

– Sì, me ne rendo conto: è difficile essere padri – ha continuato Natalino. – Ci sono padri che non sbagliano. Padri che non mentono, padri che si stancano. Padri che soffrono, gridano, lottano. Ma ci sono padri che non è così, che sbagliano anche loro. Proprio come i figli. Padri e figli che sembrano uguali. E che forse lo sono. E io? Che razza di padre sarò? E poi gli anni avanzano. I figli crescono e se ne vanno, mentre i padri restano.
– Ogni padre è stato figlio – ho commentato.

Commento idiota, ho pensato un istante dopo. Perfino Marcel Proust mi ha rivolto un’occhiata schifata. Così siamo rimasti in silenzio per un po’. 

Poi Arturo si è alzato e guardando le nuvole ha detto:
– L’evoluzione è andata troppo avanti. Gli esseri umani non sono fatti per vivere sulla terraferma. Siamo come pesci fuor d’acqua. Il pianeta è surriscaldato e tra qualche decennio non ci saranno più ghiacciai. I mari ci sommergeranno. Avremo una sola alternativa: ritornare a una vita subacquea.

Ho tossito perché mi era appena andata di traverso una nocciolina. 

– E io? – ha chiesto Natalino.
– Tu sarai padre – ha sentenziato Arturo. – Non ti basta?










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